I sogni nella cattedra d’avorio di Massimiano
«E così il tuo Signore ti sceglierà, ti insegnerà l’interpretazione dei racconti di sogno e porterà a compimento il Suo favore su di te e sulla famiglia di Giacobbe, come prima lo portò a compimento sui tuoi padri, Abramo e Isacco». Corano, Sura XII
La cattedra dell’arcivescovo Massimiano è un capolavoro assoluto dell’arte bizantina dove maestria artistica e sapienza teologica risplendono inscindibilmente congiunte.
L’ampio programma iconografico scolpito nelle formelle d’avorio proclama la vita di Cristo attraverso l’unità delle Scritture di Antico e Nuovo Testamento secondo la lectio patristica ben sintetizzata dal celebre passo di Sant’Agostino: «Novum in Vetere latet, Vetus in Novo patet», il Nuovo è nascosto nell’Antico, mentre l’Antico è svelato nel Nuovo. Sulla fronte della cattedra, sotto al monogramma di Massimiano, è la figura di Giovanni Battista, l’ultimo e il più grande tra i profeti, colui del quale Gesù aveva detto: «fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11, 11). Egli indossa una lunga tunica mentre un ampio mantello gli cinge le spalle a memoria dell’abito di penitenza evocato dal testo evangelico: «Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico» (Mc 1, 6). Il Precursore regge nella mano sinistra un clipeo sul quale è raffigurato l’Agnello, simbolo di Cristo, mentre l’intreccio delle dita della mano destra richiama profonde verità di fede: l’unità delle tre dita rimanda al mistero di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, le due restanti dita, disgiunte, annunciano le due nature di Cristo, umana e divina, secondo la professione di fede elaborata dai primi Concili, in contrasto con la tradizione ariana.
Posti accanto alla figura del Precursore, anch’essi all’interno di solenni architetture, sono i quattro evangelisti – Matteo, Giovanni, Marco e Luca – che, unitamente al Battista, rendono visivamente esplicita l’unità tra i due testamenti.
Nella fronte dello schienale, le cinque formelle giunte sino a noi proclamano il vangelo dell’infanzia del Signore Gesù, dall’annunciazione all’adorazione dei Magi, attraverso una narrazione che trae ispirazione dai testi apocrifi come tradiscono, ad esempio, le scene dell’annunciazione nella quale Maria tesse il prezioso filo di porpora, la prova delle acque amare o la presenza della levatrice Salome nel riquadro della natività, tutte immagini che pongono l’attenzione sulla trascendenza di Gesù e sul parto verginale di Maria.
La formella posta all’estrema sinistra del primo registro riunisce due diversi tempi del racconto evangelico, il primo sogno di Giuseppe e l’andata a Betlemme, entrambe scene nelle quali emerge, quale indiscutibile segno di protezione celeste, la presenza angelica. È l’evangelista Matteo l’unico a raccontare i sogni di Giuseppe, visioni della provvidenza, nei quali il messaggero di Dio placa i suoi umani dubbi e dolcemente lo rassicura, lo guida nel cammino e lo appassiona all’imperscrutabile disegno divino.
Giuseppe è rappresentato disteso sul suo giaciglio, profondamente assorto – questa è la lunga notte del dubbio – mentre riceve, come in una mistica visione, l’annuncio angelico: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (…). Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1, 20-21.24-25). Se questo messaggio dell’angelo invitava Giuseppe a non temere davanti ai prodigi di Dio rassicurando così il suo cuore, un secondo annuncio gli ordinerà di fuggire in Egitto perché il re Erode vuole uccidere Gesù: «un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» (Mt 2, 13-15). A questo secondo sogno ne seguirà un terzo per il quale Giuseppe farà ritorno con il bambino e sua madrenella terra benedetta di Israele mentre un quarto sogno porterà Giuseppe, Maria e Gesù in Galilea, a Nazaret «perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: Sarà chiamato Nazareno» (Mt 2, 23).
Non ci sono altri passi del Vangelo in cui emerga nella sua umile bellezza la figura di Giuseppe come in questi due capitoli del testo di Matteo eppure, mai, si ode la sua voce; solo le parole dell’angelo risuonano lungo le pagine evangeliche e nel cuore dell’uomo giusto, potenti e vigorose, pronte a fugare ogni dubbio.
Anche i Magi, i sapienti venuti dall’Oriente ad adorare il Bambino, ricevono il dono di una divina visione. Se il lungo viaggio che li ha condotti a Betlemme è stato un continuo scrutare il cielo seguendo la luminosa stella, ora in sogno sono invitati a ritornare al loro paese per una strada diversa rispetto a quella che avevano percorso illuminati dal chiarore celeste: «Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2, 12). La formella con le loro figure adoranti, purtroppo, non si è conservata, ma rimane l’oggetto del loro ardente desiderio, il Bambino Gesù in grembo a Maria, che si protende verso chi ha avuto il coraggio del cammino. Nel cielo brilla luminosa una stella, profumata come un fiore (Figura 2).
L’annuncio della salvezza di Cristo prosegue sul retro della cattedra. La narrazione prende avvio dalla formella nella quale è raffigurata la scena del battesimo che si pone come evento spartiacque tra la vita nascosta di Gesù a Nazaret e la sua vita pubblica impegnata nell’annuncio del Regno dei cieli fino all’ingresso di Gesù a Gerusalemme, preludio del mistero pasquale. Tra questi due momenti nei quali si manifestano l’obbedienza e la regalità del Signore, si collocano scene nelle quali il Cristo mostra la sua misericordia in opere e in parole. Le formelle giunte sino a noi, meno della metà, presentano il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, la guarigione di ciechi e storpi, il segno delle nozze di Cana, l’incontro con la donna di Samaria.
Lungo i fianchi della cattedra si trovano dieci formelle, cinque per parte, che presentano la straordinaria e drammatica storia di Giuseppe, il figlio prediletto del patriarca Giacobbe, una vicenda nella quale i sogni, molteplici e sempre in coppia, scandiscono il tempo della narrazione e indicano il modo in cui Dio si rivela all’uomo (Gen 37, 2-50, 26). Il sogno, infatti, è un luogo teologico, nel quale Dio si rende presente lungo la storia degli uomini.
La vicenda narrata nel libro di Genesi si apre con due sogni di questo giovane sapiente – lui il maestro dei sogni – che si riveleranno essere profetiche visioni di salvezza per lui, la sua famiglia e per tutto il popolo di Israele (Gen 37, 5-10). In questi primi sogni, infatti, quello dei covoni e quello degli astri che s’inchinano davanti a Giuseppe, si manifesta subito la grandezza di quest’uomo e, in qualche modo, è preannunciato l’esito di una storia, che pur nelle sue tragiche vicende, avrà un finale positivo perché è Dio ad accompagnare il tempo degli uomini. Nella terra d’Egitto Giuseppe sarà chiamato a interpretare i sogni del capo coppiere e del capo panettiere del faraone, compagni di prigionia di Giuseppe; sarà lui a svelare il significato recondito delle loro visioni, ben consapevole che «è Dio che ha in suo potere le interpretazioni» (Gen 40, 5-22). Gli ultimi due sogni narrati dal testo biblico saranno quelli del faraone; solo Giuseppe, per conto di Dio, riuscirà a spiegarli: «Il faraone sognò di trovarsi presso il Nilo. Ed ecco, salirono dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse, e si misero a pascolare tra i giunchi. Ed ecco, dopo quelle, salirono dal Nilo altre sette vacche, brutte di aspetto e magre, e si fermarono accanto alle prime vacche sulla riva del Nilo. Le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse. E il faraone si svegliò. Poi si addormentò e sognò una seconda volta: ecco, sette spighe spuntavano da un unico stelo, grosse e belle. Ma, dopo quelle, ecco spuntare altre sette spighe vuote e arse dal vento d’oriente. Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe grosse e piene. Il faraone si svegliò: era stato un sogno» (Gen 41, 1-7). Anche per questi due sogni, come per quelli precedenti, il significato si rivelerà essere uno solo: «Il sogno del faraone è uno solo: Dio ha indicato al faraone quello che sta per fare», dirà Giuseppe al faraone. Alle sette vacche belle di aspetto e grasse e alle sette spighe grosse e belle corrisponderanno sette anni di grande abbondanza in tutta la terra d’Egitto ai quali faranno seguito sette anni di terribile carestia simboleggiati dalle sette vacche brutte di aspetto e magre e dalle sette spighe vuote e arse dal vento d’oriente. Sarà in seguito all’interpretazione di questi sogni che la vita di Giuseppe avrà una svolta e si realizzerà quanto era stato preannunciato nelle visioni ricevute quando ancora era presso la casa del padre Giacobbe. Passati gli anni di abbondanza, la carestia, infatti, colpirà non solo l’Egitto ma anche la terra di Canaan, dove vivevano Giacobbe e i fratelli di Giuseppe: essi, su invito del padre, dovranno recarsi in Egitto dove riceveranno grano abbondante proprio dalle mani del loro fratello.
Il mirabile racconto di Giuseppe l’ebreo è stato riletto e interpretato dagli autori cristiani dell’epoca antica come prefigurazione del mistero pasquale del Signore. Nelle dieci formelle della cattedra che mostrano la vicenda di Giuseppe è dunque proclamata la passione, morte e resurrezione di Gesù e si viene così a completare l’annuncio della vita del Cristo che nelle scene raffigurate nel fronte e nel retro della cattedra aveva avuto il suo inizio e il suo sviluppo.
Afraate, autore siriaco del IV secolo, nella ventunesima esposizione nella quale affronta il tema della persecuzione, rilegge tutta la vicenda del figlio di Giacobbe in chiave cristologica accostando sapientemente passi del testo di Genesi a quelli evangelici: «Giuseppe perseguitato è immagine di Gesù perseguitato». Anche Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna nella prima metà del V secolo, interpreterà la figura di Giuseppe guardando a Cristo, accostando il nome di Giuseppe, lo sposo di Maria, a quello di Giuseppe l’ebreo e mostrando come in quest’ultimo sia stata profetizzata la passione del Signore. Nel Sermone 146, il secondo discorso sulla generazione di Cristo, è scritto: «Come sposo [della Vergine Maria] si provvede Giuseppe, affinché questi nell’antico Giuseppe rappresenti l’immagine della passione di Cristo. Giuseppe è diffamato dai fratelli, Cristo è accusato dai falsi testimoni. Giuseppe incappa nell’invidia per i suoi sogni profetici, Cristo incontrò l’invidia per le sue profetiche visioni. Giuseppe gettato nella cisterna di morte, ne risale vivo, Cristo posto nel sepolcro di morte, ne ritorna vivo. Giuseppe fu venduto, Cristo fu valutato un determinato prezzo. Giuseppe è condotto in Egitto, in Egitto è fatto fuggire Cristo. Giuseppe somministra pane in abbondanza ai popoli affamati, Cristo con pane del cielo sazia le nazioni che si trovano in tutta la terra».
Giovanni Gardini
- Il sogno di Giuseppe e il viaggio a Betlemme, immagine tratta da R. Garrucci, Storia dell’arte cristiana, Vol. VI, Tav. 417. 3
- La Vergine in trono con il Bambino (adorazione dei Magi), immagine tratta da R. Garrucci, Storia dell’arte cristiana, Vol. VI, Tav. 418. 1
- Il primo sogno del faraone, immagine tratta da R. Garrucci, Storia dell’arte cristiana, Vol. VI, Tav. 421. 2