L’iconografia del vescovo nei mosaici di Ravenna

Più volte nei mosaici delle basiliche ravennati compare l’immagine del vescovo.
Sant'Apollinare in Classe
Sant'Apollinare in Classe, VI secolo

Più volte nei mosaici delle basiliche ravennati compare l’immagine del vescovo. L’iconografia più significativa si trova nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe e riguarda la figura di Apollinare. Giustamente la sua immagine è la più importante essendo Apollinare il protovescovo della Chiesa ravennate ed essendo la Basilica consacrata al suo nome e deputata alla custodia della sua sepoltura. La sua figura campeggia al centro dell’abside, elemento che va notato con grande interesse: questa posizione di onore era solitamente riservata, nel VI secolo, al Cristo, alla Vergine e non ai Santi. Alla destra e alla sinistra di Apollinare è un gregge costituito da dodici pecore, numero evocativo che richiama al gruppo degli apostoli e alle tribù di Israele. La presenza di queste pecorelle tuttavia va interpretata alla luce del Sermone 128 di Pietro Crisologo che, probabilmente nella data della memoria liturgica del Santo il 23 luglio, lo ricorda in mezzo al suo gregge: “Che dire di più, fratelli? Si adoperò la santa madre Chiesa, si adoperò per non essere mai separata dal proprio vescovo. Ecco, è vivo, ecco, come il buon pastore fa sorveglianza in mezzo al suo gregge, e non è mai separato nello spirito colui che nel corpo per un certo tempo ci ha preceduti. Ci ha preceduti, dico, con l’apparenza esteriore, del resto la stessa dimora del suo corpo riposa tra noi. Fu spento il diavolo, il persecutore giacque a terra; ecco, regna e vive colui che desiderava essere ucciso per il suo Sovrano”.

Un’antica antifona liturgica ha preso spunto dal sermone crisologhiano: “O Sant’Apollinare sacerdote e martire di Cristo intercedi per il tuo popolo che hai guadagnato con il sangue del tuo martirio: noi ravennati siamo il tuo popolo e pecorelle del tuo gregge, intercedi per noi presso il Signore Gesù Cristo”. Questo testo, in latino, fu fatto scrivere dall’Arcivescovo Giacomo Lercaro nel cornicione della Cattedrale di Ravenna assieme ad alcuni versi del Victimae Paschali Laudes.

Apollinare ha il capo nimbato, il suo nome, + SANCTUS APOLENARIS, è letto da tutti. La sua veste è decorata da numerose api d’oro, richiamo simbolico all’operosità del vescovo e al suo compito di annunciare la parola del Vangelo dolce e nutriente più del miele. Sulle spalle porta il pallio. Esso, tessuto in lana d’agnello, è simbolo del vescovo buon pastore (Lc 15, 4-7):

«Il pallio dei vescovi – scrive Isidoro di Pelusio -, confezionato con lana e non con lino, significa quella pecorella smarrita alla quale il Signore andò dietro finché non l’abbia ritrovata, e ritrovatala se la mise sulle spalle. Infatti il vescovo, figura del Cristo, svolge l’ufficio del Cristo, e persino nel suo abito lo mostra a tutti, mostrando d’essere imitatore del Pastore grande delle pecore che portò su di se le nostre debolezze e si addossò le nostre sofferenze».

Apollinare è raffigurato nella classica posa dell’orante con le braccia alzate e le mani rivolte al cielo e come sommo sacerdote intercede per il suo popolo; egli celebra nell’Eucarestia il mistero della passione, morte e resurrezione di Cristo richiamato dall’iconografia della trasfigurazione, mistero evocato dalla croce gemmata – il Cristo – e dalle tre pecorelle – Pietro, Giacomo e Giovanni – sopra di lui.

La figura di Sant’Apollinare va ricordata unitamente a quella di altri quattro vescovi posti nell’abside: Severo, Orso, Ecclesio e Ursicino. Essi indossano gli abiti per la celebrazione dell’Eucarestia, portano il pallio sulle spalle e reggono un prezioso codice.

San Severo, ultimo dei vescovi colombini e primo vescovo ravennate con una datazione certa è presente al Concilio di Serdica – l’odierna Sofia in Bulgaria – nel 342-43; Sant’Orso è il fondatore della Cattedrale di Ravenna al principio del V secolo; il vescovo Ecclesio, antiariano, e il vescovo Ursicino sono ricordati rispettivamente come i fondatori della Basilica di san Vitale e della Basilica di Sant’Apollinare in Classe.

La Basilica di San Vitale mostra le figure del vescovo Ecclesio e dell’arcivescovo Massimiano. Ecclesio è rappresentato nell’abside alla sinistra del Cristo, insieme a San Vitale e ai Santi angeli. Rivestito degli abiti pontificali regge e offre al Signore Gesù il modello della Basilica. Sopra al suo capo l’iscrizione latina ricorda il suo nome e la sua carica ecclesiastica: ECCLESIUS EPISCOPUS, Ecclesio vescovo.

Nelle pareti laterali del presbiterio, dove si svolge una maestosa processione, Massimiano compare come figura centrale insieme all’imperatore Giustiniano. L’arcivescovo Massimiano, preceduto dall’incenso e dall’evangeliario, è vestito solennemente per la liturgia e regge la croce gemmata. Segue l’imperatore Giustiniano: egli è raffigurato con le insegne del potere e regge tra le mani una patena, con l’offerta del pane. Nella parete opposta il corteo prosegue con l’imperatrice Teodora che, seguita dalle sue ancelle, porta il calice del vino. Pane e vino, presentati all’altare, introducono alla celebrazione eucaristica. Massimiano incede solenne; anch’egli, come Ecclesio, porta sulle spalle il pallio. Se questa di San Vitale è la sua unica testimonianza iconografica giunta sino a noi tra quelle descritte da Andrea Agnello nel Liber Pontificalis, va comunque ricordato il suo nome, qui in San Vitale scritto per esteso, MAXIMIANUS, abbreviato nei monogrammi che compaiono nella Cattedra d’avorio e in un pulvino, entrambi conservati nel Museo Arcivescovile di Ravenna.

Fonti come il Liber Pontificalis ci parlano delle immagini dei vescovi ravennati rappresentate a mosaico nelle basiliche, o negli oggetti liturgici che essi avevano donato alla chiesa ravennate, figurazioni delle quali il tempo non ha lasciato altra memoria se non quella scritta.

Tra le immagini scomparse vorrei tuttavia ricordare brevemente il mosaico medievale che, fino alla prima metà del XVIII secolo, si poteva ammirare nell’abside della Basilica Ursiana e del quale rimane memoria, oltre che nelle fonti scritte, in un disegno eseguito dall’architetto Gianfrancesco Buonamici, architetto della moderna cattedrale. Il mosaico, attribuito alla committenza dell’arcivescovo Geremia (1111-1118), è datato al 1112 come stava a indicare un’iscrizione latina posta alla base dell’abside: HOC OPUS EST FACTUM POST PARTUM VIRGINIS ACTUM ANNO MILLENO CENTENO POST DUODENO, questa opera fu fatta nel millecentododicesimo anno dopo il parto della Vergine. Due erano sostanzialmente i temi dell’abside: la Resurrezione e ascensione del Cristo e la vita, passione, morte e sepoltura di Sant’Apollinare. Se il protovescovo più volte compariva nell’abside in scene legate alla sua vita, egli era anche rappresentato al centro della fascia posta alla base del mosaico absidale. Nella posa dell’orante, una citazione evidentemente tratta dal mosaico classense, egli compariva assieme ai primi vescovi ravennati, detti colombini per via della leggenda che legava la loro consacrazione episcopale al miracolo della colomba che, al momento della loro nomina, si posava sul loro capo. E come nell’abside della basilica di Classe Apollinare era unito ad altri vescovi ravennati, così nella chiesa cattedrale il protovescovo era rappresentato assieme ai primi pastori, tra cui comparivano anche i suoi primi discepoli, e a santi importanti della chiesa locale.

In queste testimonianze iconografiche il vescovo è ricordato come orante, come uomo di preghiera che convoca il popolo per la celebrazione dell’Eucarestia, come pastore che custodisce e pasce il gregge dei fedeli, come uomo di comunione inserito nella storia della sua chiesa.

Giovanni Gardini

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