I discepoli di Emmaus nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo

Notevole è la scena dei discepoli di Emmaus nella basilica di Sant'Apollinare Nuovo.
Discepoli di Emmaus
Discepoli di Emmaus, Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, dettaglio

Nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo le tredici scene cristologiche poste nella parete destra della navata centrale mostrano, in tutta la loro potenza, la passione e risurrezione del Signore Gesù.
Il ciclo iconografico inizia con la rappresentazione dell’ultima cena, episodio sul quale si focalizza anche l’annuncio del tradimento di Giuda: egli è rappresentato in posizione diametralmente opposta a quella di Gesù e riceve lo sguardo incredulo e accusatore di sette tra i discepoli seduti alla mensa del Signore.
La narrazione procede, delineando un articolato contesto di passione, con le scene della preghiera nell’orto del Getsemani, dell’arresto, del tradimento di Pietro, e del giudizio davanti ai sommi sacerdoti e a Pilato, sino ad arrivare alla salita al monte calvario, episodio al quale non segue la rappresentazione della crocifissione, bensì tre scene incentrate sull’annuncio del Risorto, straordinario programma teologico sulla risurrezione: l’annuncio dell’angelo alle mirofore (Mt 28, 1-8), il cammino dei discepoli di Emmaus insieme al Risorto (Lc 24, 13-35; Mc 16, 12-13), Gesù nel cenacolo e il relativo riconoscimento di Tommaso (Gv 20, 24-29).

L’iconografia dei discepoli di Emmaus non appartiene a quelle immagini consuete e più volte rappresentate, a quelle immagini così ricorrenti nel lessico dell’iconografia cristiana delle origini; essa è scena rara e tarda, tanto che possiamo affermare come quest’immagine ravennate si ponga tra le primissime raffigurazioni di questo brano evangelico.

Al centro della scena compare il Cristo risorto; egli veste la porpora, ha il nimbo crucisegnato, il volto barbato secondo l’iconografia che lo contraddistingue in queste immagini della parete destra. Egli, figura solenne e imponente, è tra i discepoli di cui narra il Vangelo di Luca, dei quali conosciamo solo il nome di uno dei due, Cleopa; essi sono vestiti di tunica bianca e di paenula colorata. Sulla sinistra della scena è rappresentata, in lontananza, una città cinta da mura, posta su un alto monte, dalla porta urbica ben definita; essa è stata variamente interpretata come Emmaus o, più verosimilmente, come Gerusalemme.

Cleopa e l’altro suo compagno di viaggio, sono «in cammino per un villaggio di nome Emmaus». Hanno lasciato la città di Gerusalemme nel giorno stesso in cui il Cristo è risorto: «in quello stesso giorno» (v. 13), sottolinea il testo lucano, indicando in questo modo sia il giorno della gloria del Cristo, sia il tempo in cui gli angeli hanno annunciato alle mirofore – Maria Maddalena, Giovanna e Maria la Madre di Giacomo – la vittoria del Signore sulla morte (Lc 24, 1-7). E’ inoltre il tempo dello stupore di Pietro che, chinatosi sul sepolcro, vide soltanto i teli (Lc 24, 12). Il giorno in cui questi due discepoli si mettono in cammino è anche il tempo dell’incredulità: loro «stolti e lenti di cuore» (v. 25) non avevano creduto in tutto ciò che avevano detto i profeti, e nemmeno gli apostoli, che avevano ritenuto un vaneggiamento quanto le donne avevano riferito loro, erano disposti alla fede (v. 11).

È in questo giorno, di gloria e d’incredulità, che questi due discepoli lasciano Gerusalemme, un allontanamento, il loro, che segna una distanza tragica non tanto da un luogo geografico bensì spirituale: Gerusalemme è la città santa nella quale il Cristo è morto ed è risorto. E’ come se fuggissero dal cuore della fede, smarriti nei loro pensieri tristi, svuotati di speranza; eppure è lì – in questa loro consapevole e colpevole distanza da Dio – che il Signore li accosta e conforta. Nella loro estrema lontananza e cecità – fisica e spirituale – Gesù si rivela come prossimità amorevole del Padre e «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le scritture, ciò che si riferiva a lui» (v. 27). Nell’ascolto della parola del Signore il cuore di questi due discepoli inizia ad ardere (cf. v. 32), nel gesto del pane spezzato i loro occhi si aprono al riconoscimento del Signore della vita (cf. v. 31). Fanno esperienza di resurrezione, e sarà il loro cuore, non più arido ma ardente, a rischiarare il cammino di ritorno a Gerusalemme.

Nel sesto Sermone sulla Risurrezione del Signore (79,4), Pietro Crisologo, parlando del passaggio dall’incredulità alla fede, ricorda i due discepoli di Emmaus:

«Nessuno critichi con asprezza il fatto che gli apostoli o non credono alle donne che portano l’annuncio della risurrezione del Signore o, come si narra, lo giudicarono un vaneggiamento. E’ profondo il dubbio di chi crede con maggiore profondità (…). Quando due discepoli, che dopo la resurrezione meritarono di avere compagno di viaggio Cristo, ritornati annunciavano di avere visto il Signore, gli apostoli non giudicano follia ciò che odono, ma cosa degna di uomini; porgono orecchio, inchiodano le bocche, aprono gli occhi, spalancano i cuori e affidano all’intelligenza ciò che viene detto, così che, dopo il bollore del dubbio, bevono rapidamente dal fiume, che la lingua dei colleghi riversava, le parole della fede».

Giovanni Gardini

I discepoli di Emmaus, da R. Garrucci, Storia dell’arte cristiana, Vol. IV, tav. 252

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