Lo sposalizio mistico di Santa Caterina

La storia della pala raffigurante lo Sposalizio mistico di Santa Caterina, opera di Francesco Zaganelli, è profondamente legata alla storia dell’Istituzione del Seminario.
Sposalizio Mistico di Santa Caterina
Francesco Zaganelli, Sposalizio Mistico di Santa Caterina, Seminario Arcivescovile di Ravenna

Una pala per il Seminario Arcivescovile di Ravenna

La storia della pala raffigurante lo Sposalizio mistico di Santa Caterina, opera di Francesco Zaganelli, è profondamente legata alla storia dell’Istituzione del Seminario Arcivescovile di Ravenna (Fig. 1)[1]. Il quadro, infatti, si trovava all’interno della Chiesa dell’ospedale di Santa Caterina un’istituzione che, una volta soppressa, accolse il Seminario Arcivescovile, eretto il 25 maggio 1567, uno dei primi istituiti per opera dell’arcivescovo Giulio Della Rovere (1566-1578), dopo le indicazioni date dal Concilio di Trento.

Il Seminario trovò in Santa Caterina una sua patrona tanto che, quando alla fine del XVI secolo si spostò presso l’ex monastero di San Paolo, non solo la pala fu trasferita, ma anche il titolo di Santa Caterina passò a quella chiesa[2].

Nella prima sede la vide Giorgio Vasari che lodò l’opera del pittore di Cotignola: «Nello spedale di Santa Caterina [Zaganelli] dipinse una tavola con la Nostra Donna [la Vergine Maria] e Santa Caterina con molte altre figure», mentre nella ex chiesa di San Paolo la menziona Girolamo Fabri nel 1664 il quale ricorda il trasferimento del Seminario in questa nuova e più consona sede ad opera dell’arcivescovo Cristoforo Boncompagni (1578-1603): «trasferiti che furono qua in memoria della prima loro abitazione, e perché questa Santa Vergine [Caterina] è avvocata de studenti la presente chiesa da lei prende il nome, e vedesi la sua immagine all’Altar Maggiore in un gran Quadro, opera che fu di Francesco da Cotignola famoso dipintore del secolo passato, e di cui come di cosa nobile fa menzione Giorgio Vasari»[3]. Il Fabri ricorda come sia «numeroso il Seminario di presso quaranta Chierici dei quali vestono di color leonato, e servono tutte le feste nella Cattedrale alle messe solenni, e Vesperi in Choro, anno in casa scuole, e Maestri così di Gramatica, e Retorica, come anche di musica, son governati al presente da Preti secolari»[4].

Il Seminario rimase in questa seconda sede dal 1583 sino al 1779 quando, dopo alterne vicende che ne videro per alcuni anni la chiusura, fu trasferito, per volontà dell’arcivescovo Antonio Cantoni (1767-1781) in Piazza Duomo, dove tuttora si trova. Questa nuova sede poteva contare su una chiesa di notevoli dimensioni, quella dedicata a San Girolamo. Nel 1783, quattro anni dopo che il Seminario si era spostato nella sua terza e definitiva sede, Francesco Beltrami ricorda la tavola dello Zaganelli non più sull’altare maggiore ma, in una diversa collocazione: «Sopra la porta della Chiesa la Tavola con la B. Vergine, e S. Caterina V., e M. è di mano di Francesco da Cottignola, opera notata da Giorgio Vasari, e qui trasferita dal Seminario vecchio»[5]. In occasione del trasferimento del Seminario, questa nuova sede, ricorda sempre Beltrami, «si è accresciuta, e molto ben ridotta coi necessari comodi dall’ingegnosissimo Architetto il Nob. Sig. Conte Cammillo Morigia Patrizio Ravennate, cosicchè presentemente si considera per uno de’ migliori Seminari della Provincia»[6]. La pala è ricordata sempre sulla porta della chiesa anche da Gaspare Ribuffi nel 1835 e da Antonio Tarlazzi nel 1852, anche se confonde lo Zaganelli con il Rondinelli[7].

Corrado Ricci nella Guida di Ravenna del 1923, una data importante perché documenta gli ultimi anni della Chiesa di San Girolamo che di lì a breve sarebbe stata abbattuta, menziona la pala dello Zaganelli in una collocazione ancora diversa: «nella cantoria sinistra della chiesa, una tavola un po’ patita di Francesco Zaganelli da Cotignola, che rappresenta lo Sposalizio di santa Caterina in presenza di molti santi»[8]. Una fotografia dal Fondo Fotografico di Mons. Mario Mazzotti presente presso l’Istituzione Biblioteca Classense, registra quest’allestimento descritto dal Ricci: la chiesa appare in uno stato deplorevole (Fig. 2)[9]. Lì la ricorda anche Luisa Faenzi in una descrizione della chiesa pubblicata pochi mesi dopo il suo abbattimento, uno studio nel quale l’autrice ricorda il rinvenimento di marmi antichi – parti di sarcofago reimpiegate, oggi custoditi al Museo Arcivescovile di Ravenna – dei quali si occuperà poi Renato Bartoccini in uno studio appositamente dedicato[10].

Dopo la demolizione della Chiesa di San Girolamo, la pala fu trasferita negli ambienti del Seminario: la scheda di catalogo della Mostra di Melozzo da Forlì e del quattrocentro romagnolo la ricorda «in una stanza del nuovo Seminario»; attualmente, si trova nella parete di fondo della Sala don Minzoni[11].

Il tema principale della pittura dello Zaganelli, come già accennato, è lo sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria che compare al centro del dipinto, vestita con abiti principeschi a indicare le sue nobili origini, nell’atto di ricevere l’anello nuziale dal Cristo bambino posto in grembo a Maria (Fig. 3)[12]. Le fanno corona i santi Sebastiano legato alla colonna e trafitto da frecce, Giovanni evangelista con il calice, Giuseppe con il legno fiorito, Romualdo che regge nella mano il modellino di una chiesa, Rocco in abiti da pellegrino[13].

Questo delle nozze mistiche è uno dei principali temi legato all’iconografia della santa alessandrina: «Nel sec. XIV alla leggenda del martirio di Caterina trovasi unita, nella letteratura e nell’arte, la storia della sua conversione e del suo sposalizio mistico con Cristo», un tema che legato a quello dell’infanzia – come evidenzia Dante Balboni – potrebbe ricollegarsi all’influenza delle grandi mistiche benedettine[14]. Jacopo da Varagine, nella Leggenda aurea, riporta numerose espressioni, dove la santa si definisce sposa di Cristo. Rivolta all’imperatore che le chiedeva di rinnegare la sua fede, promettendole la gloria terrena, ella rispose: «Io sono la sposa di Cristo: Egli è la mia gloria, Egli il mio amante, la mia dolcezza, il mio amore: né con le carezze né con i tormenti potrai allontanarmi da lui» e, nel momento del martirio, una voce si udì dal cielo: «Vieni mia diletta sposa: le porte del cielo ti sono aperte. E a quelli che piamente faranno memoria del tuo martirio prometto l’aiuto celeste»[15]. Nel dialogo tra Caterina e l’imperatrice nel quale la santa la esorta a convertirsi a Cristo, ritorna il tema nuziale per definire il rapporto con il Signore: «Non temere regina amata dal Signore: oggi stesso la tua regalità terrena si trasformerà in una eterna regalità e invece di uno sposo mortale acquisterai uno sposo immortale!»[16].

La predella, oltre ai volti di Pietro e di Paolo posti alle estremità e il Volto della Veronica al centro, offre due momenti della vita di Caterina che «sorprendono per la modernissima visione paesistica che quasi annulla la presenza della santa: disposizione intellettuale che si spiega solo alla luce della diffusione della pittura nordica nell’Italia settentrionale»[17].

Lo scomparto di destra, che unisce in un’unica visione le torture e il martirio della santa, mostra Caterina nell’atto di ricevere la palma del martirio che un angelo, da un cielo denso di nubi, le offre (Fig. 4). La santa è simbolicamente vestita di rosso, colore che richiama all’effusione del sangue, il capo è cinto da un diadema, ai suoi piedi è la ruota dentata, uno dei supplizi ai quali era stata costretta. La ruota dentata, uno degli attributi più noti – oltre alla spada simbolo del martirio, la corona e l’abito regale allusivi alle sue nobili origini, il libro segno della sua sapienza, l’anello che rimanda alle nozze con Cristo – appare spezzata a ricordo dell’intervento divino a favore della sposa di Cristo: «il prefetto consigliò l’imperatore furente di far preparare quattro ruote fornite di punte acuminate che straziassero la carne di Caterina incutendo così timore negli altri cristiani. Si decise che di queste quattro ruote due sarebbero state spinte in un senso e due nell’altro, di modo che le membra della fanciulla si spezzassero. Ma la vergine pregò Iddio che a sua gloria e per il bene spirituale degli astanti distruggesse questa macchina: ed ecco che un angelo del Signore colpì le immense ruote con tanto impeto che i pezzi schiacciarono sotto il loro peso quattromila pagani»[18].

L’altro riquadro della predella mostra la sepoltura miracolosa per mano angelica: la santa, in abiti candidi, appare in una mandorla di luce, tra le nubi, mentre gli angeli in volo, la portano al Monte Sinai (Fig. 5).

Come già abbiamo ricordato il racconto agiografico presenta la morte della santa come unione sponsale a Cristo: «Vieni mia diletta sposa» sono le parole precedenti il martirio che si odono dal cielo e, sempre da questi antichi testi, ci viene narrato come la morte di Caterina non avviene in seguito alle torture subite, ma per decapitazione: «la santa fu decapitata e dal suo corpo sgorgò latte invece di sangue. Gli angeli presero il santo corpo e lo trasportarono sul monte Sinai e li onorevolmente lo seppellirono dopo venti giorni. Ancor oggi dalle ossa della santa trasuda un olio che guarisce le membra inferme»[19]. A lei è dedicato il grande monastero ai piedi del Sinai che reca il suo nome, importantissimo centro monastico, legato alla memoria di Mosè e del roveto ardente[20].

Santa Caterina è patrona di varie categorie professionali e invocata per diverse necessità, ma qui la vogliamo ricordare in quanto patrona del Seminario Arcivescovile di Ravenna, come protettrice dei teologi, filosofi, professori e studenti. I testi agiografici la presentano come donna saggia che confonde la sapienza umana, custode di quella Sapienza divina che disperde i superbi nei pensieri del loro cuore (cf. Lc 1, 51). La sua parola converte gli increduli, l’imperatrice e l’ufficiale Porfirio; il suo carisma è tale che i cinquanta filosofi chiamati dall’imperatore stesso per sconfessarla e indurla a sacrificare agli idoli, non solo sono ridotti al silenzio, ma abbracciano la fede in Cristo riconoscendo che è lo stesso spirito di Dio a parlare per bocca di questa bellissima fanciulla. Condannati dall’imperatore al martirio, saranno da lei confortati e sostenuti nell’ora della prova: «La vergine beata confortandoli li esortò a sopportare virilmente il martirio e li istruì nelle verità della fede: e poiché quelli si lamentavano di dover morire senza essere stati battezzati, Caterina disse: «Non temete, perché l’effusione del vostro sangue vi sarà di battesimo e di corona». Allora i sapienti si fecero il segno della croce e fra le fiamme resero l’anima a Dio: ma i loro corpi, ed anche i capelli e i vestiti, furono trovati intatti. I cristiani dettero loro onorevole sepoltura»[21].

Chiosa Jacopo da Varagine a conclusione del racconto della Vita della Santa: «la beata Caterina fu insigne per cinque virtù: per sapienza, eloquenza, costanza, castità e dignità»; questi sono i doni che auguriamo a coloro che intraprendono il cammino di discernimento in Seminario, sotto la protezione di questa grande santa.

Giovanni Gardini

  1. La pala di Francesco Zaganelli (foto E. Solano).

1) VISIONE DI INSIEME2. La pala nella Chiesa di San Girolamo (BCRa, Fondo Fotografico Mazzotti, file n. 2945).

3. Santa Caterina, dettaglio (foto G. Gardini).

SONY DSC

4. Le torture e il martirio di Caterina (foto E. Solano).

4) TORTURE E MARTIRIO

  1. La sepoltura di Caterina (foto E. Solano).

5) SEPOLTURA

NOTE:

[1] Questa breve nota, pubblicata nel RisVeglio Duemila anno XXVI, n. 45 del 4 dicembre 2015, riporta quanto esposto nella conferenza di lunedì 23 novembre 2015, proposta dal Museo Arcivescovile e dal Seminario Arcivescovile. Si ringrazia don Federico Emaldi, Rettore del Seminario per aver accolto e ospitato questa iniziativa presso la Sala don Minzoni, dove la pala è conservata. Quest’anno, l’apertura ufficiale del Seminario, è avvenuta nella festa di Santa Caterina riscoprendo così la più antica patrona. Un ringraziamento va a Julles Metalli, per l’aiuto cordiale datomi per fotografare alcuni dettagli della pala. Per la pala di Francesco Zaganelli, uno dei capolavori dell’artista che la critica concordemente attribuisce alla sua piena maturità, si veda: R. Zama (a cura di), Gli Zaganelli (Francesco e Bernardino) pittori, Luise Ed., Rimini 1994, pp. 198-201 e la bibliografia ivi citata. Lo studio riporta la cronologia di entrambi i pittori e un saggio, ricco di note, sul loro operato artistico. Per la storia del Seminario, di quello Arcivescovile sotto la protezione di Caterina e di quello posto sotto il soccorso degli Angeli Custodi si veda E. Tramontani, Verso i 450 anni di vita del Seminario Arcivescovile di Ravenna. Un po’ di storia e alcune precisazioni sulla sua corretta titolarità agiografica, in RisVeglio Duemila, del 24 aprile 2010, n. 15, pp. II-IV. Per le origini della storia del Seminario Arcivescovile si segnala anche il seguente studio, già citato nel testo di Tramontani: A. Duranti, Il Seminario di Ravenna nel sec. XVI, in Ravennatensia, III, Atti dei convegni di Piacenza e Modena (1969-1970), Cesena, Badia di Santa Maria del Monte 1972, pp. 129- 168.

[2] Per la chiesa di Santa Caterina e il passaggio del titolo della santa alessandrina alla chiesa del Convento di San Paolo si veda: M. Mazzotti, Itinerari della sacra visita (da “L’Argine”, 1954-1956); Chiese di Ravenna scomparse (da “Il Romagnolo”, 1936-1938) a cura di G. Rabotti, Libreria Antiquaria Tonini, Ravenna 2003, pp. 252-253.

[3] G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma 2002, p. 790; G. Fabri, Le sagre memorie di Ravenna antica, Venezia 1664, p. 142. L’ospedale di Santa Caterina corrisponde al luogo dove oggi è una sede dell’Università di Bologna, in via Pasolini 23 (ex Istituto Verdi), mentre tracce del monastero di San Paolo, ovvero della seconda sede del Seminario, sono rintracciabili in via Mariani 46.

[4] G. Fabri 1664, p. 146.

[5] F. Beltrami, Il forestiere instruito delle cose notabili della città di Ravenna, Ravenna 1783, p. 42.

[6] F. Beltrami,1783, pp. 42-43.

[7] G. Ribuffi, Guida di Ravenna esposta da Gaspare Ribuffi con compendio storico della città, Ravenna presso A. Roveri e Figli, 1835, p. 29; A. Tarlazzi, Memorie sacre di Ravenna scritte dal sacerdote Antonio Tarlazzi in continuazione di quelle pubblicate dal canonico Girolamo Fabri, Ravenna, Tip. del ven. Seminario arciv., 1852, p. 269.

[8] C. Ricci, Guida di Ravenna, V edizione rifatta, Bologna, Nicola Zanichelli Editore, 1923, p. 36.

[9] Si ringrazia l’Istituzione Biblioteca Classense per aver concesso la pubblicazione di questa immagine: BCRa, Fondo Fotografico Mazzotti, file n. 2945.

[10] Per informazioni sulla chiesa di San Girolamo si veda: L. Faenzi, Chiese che scompaiono e chiese che risorgono, in Felix Ravenna, 1930, n. 34, pp.35-40; Mazzotti 2003, pp. 240-241; R. Bartoccini, Frammenti di sarcofago cristiano dalla demolizione di S. Girolamo in Ravenna, in Felix Ravenna, 1930, n. 36, pp. 1-8. L’articolo riporta la scoperta di tre frammenti antichi: solo i due frammenti maggiori sono custoditi all’interno del Museo Arcivescovile; della testina di agnello dato come appartenente allo stesso sarcofago e rinvenuto sempre in San Girolamo non si hanno notizie (la fotografia è pubblicata dal Bartoccini, Tav.III). Sui due frammenti presenti nel Museo si veda inoltre: G. Bovini (diretto da), “Corpus” della scultura paleocristiana bizantina ed altomedievale di Ravenna, vol. II, schede 18-19, p. 41 e bibliografia ivi citata; G. Gardini-P. Novara, Le collezioni del Museo Arcivescovile di Ravenna, Opera di Religione della Diocesi di Ravenna, Ravenna 2011, pp. 46-47.

[11] C. Gnudi, in Mostra di Melozzo da Forlì e del quattrocentro romagnolo, catalogo della mostra, Forlì, Palazzo dei Musei, Giugno-ottobre 1938, p. 138, Tav. 90.

[12] La pala in questione è stata accostata, sia da un punto di vista stilistico sia per un possibile confronto cronologico alla tela raffigurante la Madonna col bambino fra i Santi Giovanni Battista, Francesco, Rocco e Sebastiano presente a Viadana, Mantova, presso la chiesa di San Martino; si vedano al proposito le riflessioni, in particolare quelle di Roli, in: Zama 1994, pp. 185; 200.

[13] Ciascun santo è riconoscibile per un chiaro attributo iconografico, oltre che per gli abiti. In questa sede non ci si può ulteriormente dilungare: si rimanda eventualmente alla lettura di dizionari iconografici. Si segnala, tra i tanti: F. e G. Lanzi, Come riconoscere i Santi e i patroni, Jaca Book, Milano 2007; si veda anche la Leggenda Aurea più avanti citata.

[14] Si vedano i testi di Dante Balboni, Giovanni B. Bronzini, Maria Vittoria Brandi, autori della voce Caterina in Bibliotheca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università Laternanense, Roma 1963, vol III, coll. 954-978.

[15] Jacopo da Varagine, Leggenda aurea, Libreria editrice fiorentina, Firenze 2005, pp. 792; 795.

[16] Jacopo da Varagine, 2005, p. 794.

[17] A. Mazza, Luca Longhi e la pittura su tavola in Romagna nel ‘500, Edizioni Alfa, Bologna 1982, p. 135.

[18] Jacopo da Varagine, 2005, p. 794. Si presenta per prima questa formella di destra. A nostro avviso, va notato come i due scomparti della pala presentano una cronologia invertita rispetto alla vita della santa: prima è narrata la sepoltura per mano degli angeli, poi in un secondo quadro, chiaramente riassuntivo, le torture e il martirio.

[19] Jacopo da Varagine, 2005, p. 795.

[20] Sempre in questa rubrica ci siamo occupati, seppur velocemente, del mosaico absidale della chiesa del Monastero: cf. G. Gardini, E’ magnificamente descritta nel catino absidale di Sant’Apollinare in Classe. Ripercorriamo la gloria della Trasfigurazione, in RisVeglio Duemila, Beni culturali/46 del 27 febbraio 2015, p. 8.

[21] Jacopo da Varagine, 2005, p. 792.

close

Giovanni Gardini ti invita ad iscriverti alla sua newsletter e a seguirlo sui social

Visit Us
Follow Me
Tweet
Whatsapp