All’interno delle sale del Museo Arcivescovile sono conservati materiali lapidei, pittorici, liturgici che permetto di evocare diverse figure di vescovi ravennati dai tempi antichi fino all’epoca moderna.
La prima figura che incontriamo è quella di Pietro Crisologo vescovo dal 426 al 450. Leggiamo nel Liber Pontificalis: “Pietro era bello in volto e piacevole d’aspetto. Nessun vescovo precedente fu simile a lio in sapienza e anche dopo di lui non ne sorse uno simile. Compose molti volumi e come una fonte irrigua emanava ogni giorno in lui la sapienza divina; per la sua eloquenza quindi la chiesa lo chiamò “Crisologo”, e cioè “oratore aureo”.
Una tela di Felice Giani (1758-1823), tra i massimi esponenti del neoclassicismo, posta nella sala della pinacoteca, racconta come avvenne la scelta di Pietro, diacono della chiesa di Imola, per la cattedra episcopale ravennate.
Il Liber pontificalis ecclesie ravennatis, documento importantissimo del IX secolo scritto dal sacerdote Andrea Agnello, è un testo che raccoglie le Vite dei vescovi di Ravenna da Apollinare fino al secolo in cui fu redatto il pontificale. Nella Vita del Crisologo, Andrea Agnello, racconta, in forma agiografica, come avvenne la scelta di Pietro come vescovo della chiesa ravennate. Il Pontefice Sisto III, in sogno, avrebbe visto San Pietro e Sant’Apollinare i quali gli avrebbero chiesto di eleggere come vescovo il diacono imolese Pietro Crisologo: “Durante la notte al santo Sisto, vescovo di Roma, apparve in visione il beato apostolo Pietro, clavigero di Cristo, insieme col suo discepolo Apollinare e in mezzo a loro stava il beato Pietro Crisologo; avvicinandosi un poco il beato apostolo Pietro disse al santo papa Sisto: “Osserva l’uomo che sta in mezzo a noi e che noi abbiamo eletto: consacra questo e non un altro”. Perciò il papa, destatosi, subito di buon mattino ordinò che fosse introdotta tutta la gente con l’uomo che doveva essere consacrato” (traduzione a cura di Mario Piepaoli).
Sisto III è raffigurato seduto sulla cattedra episcopale, dove ha la visione di Pietro che gli compare tra le nubi e gli indica il giovane inginocchiato ai suoi piedi mentre Sant’Apollinare posa la mano destra sulla spalla del Crisologo a conferma delle parole di Pietro.
Di Pietro Crisologo vescovo e Dottore della Chiesa, ci sono pervenuti numerosi sermoni, pubblicati, in edizione critica, nel 1996 da Città Nuova. Questi scritti sono per noi una testimonianza preziosissima per la fede che trasmettono e, al tempo stesso, per la storia della chiesa e della città di Ravenna.
Il Sermone 128, pronunciato in occasione della festa liturgica di Sant’Apollinare, è una delle testimonianze più antiche del culto del protovescovo ravennate.
San Pietro Crisologo, Sermone 128: Il martirio di Sant’Apollinare
“Il beato Apollinare, che fu il primo vescovo, fu anche l’unico che adornò questa Chiesa locale con l’eccelso nome del martirio. Giustamente Apollinare, poiché secondo il comando del suo Dio qui perdette la sua anima per conquistarla nella vita eterna. Beato, poiché compì la corsa, mantenne la fede, così da essere trovato veramente primo sul posto per chi gli credeva. E nessuno, vedendo che egli per volere di Dio si è assoggettato ad una lotta quotidiana e molteplice, lo ritenga in quanto confessore inferiore ai martiri. Ascolta la parola di Paolo: Muoio ogni giorno. E’ troppo poco che muoia una sola volta colui che può spesso riportare sui nemici una vittoria gloriosa per il proprio re. Non tanto la morte, quanto la fede e la devozione fanno il martire: e come è prova di valore soccombere in battaglia, in uno scontro per amore del proprio re, così è indizio di virtù perfetta sostenere a lungo e portare a compimento le lotte. Fu provato martire non perché l’astuto nemico gli inflisse la morte, ma perché non riuscì ad estorcegli la fede; lanciò i dardi che potè e ricorse a tutti i generi delle sue armi, ma tuttavia non riuscì a smuovere quel fortissimo condottiero o a macchiarne la costanza. E’ di grande importanza, fratelli, disprezzare per il Signore la vita presente, se è necessario, ma è glorioso anche vivendo spregiare il mondo e calpestarlo con il suo principe.
Cristo andava in fretta incontro al suo martire, il martire andava in fretta incontro al suo Re. Abbiamo detto bene “andava in fretta”, secondo il detto del profeta: Levati per venirmi incontro e vedi. Ma perché la santa Chiesa per il suo bene facesse fronte al suo assalitore, di slancio andò incontro a Cristo sia per riservarsi con la vittoria la corona della giustizia, sia per concedersi la presenza di chi avrebbe combattuto per lui in tempo di guerra. Il confessore versava spesso il proprio sangue e dava testimonianza al suo Creatore con le sue ferite e con la fede del suo animo. Guardando al cielo, disprezzava carne e terra. Tuttavia, la ancor povera infanzia della Chiesa vinse e resistette, e ottenne che il martire dovesse differire l’attuazione del proprio desiderio. Dico l’infanzia, fratelli, che ottiene sempre tutto; che si adopera più con le lacrime che con le proprie forze. Infatti, il volto sudato dei valorosi non può tanto quanto le lacrime dei bimbi, perché la sono infranti i corpi, qui i cuori; là a fatica si mettono in moto i giudizi della mente, qui tutto l’affetto si piega condiscendente.
Che dire di più, fratelli? Si adoperò la santa madre Chiesa, si adoperò per non essere mai separata dal proprio vescovo. Ecco, è vivo, ecco, come il buon pastore fa sorveglianza in mezzo al suo gregge, e non è mai separato nello spirito colui che nel corpo per un certo tempo ci ha preceduti. Ci ha preceduti, dico, con l’apparenza esteriore, del resto la stessa dimora del suo corpo riposa tra noi. Fu spento il diavolo, il persecutore giacque a terra; ecco, regna e vive colui che desiderava essere ucciso per il suo Sovrano”.
Le quattro grandi tele neoclassiche dell’abside della Cattedrale di Ravenna
L’abside della Cattedrale di Ravenna presenta quattro grandi tele neoclassiche. Esse sono il frutto della colta committenza di Antonio Codronchi, arcivescovo di Ravenna dal 1785 al 1826. Egli incaricò quattro importanti artisti del tempo per la realizzazione di pitture che celebrassero la chiesa ravennate nella figura di quattro importanti vescovi (per la storia dei dipinti cf. G. Viroli, I dipinti d’altare della Diocesi di Ravenna, 1991, pp. 82-89).
I quattro quadri, di notevoli dimensioni (ciascun quadro misura circa cm 450 x 300), vennero inaugurati la domenica delle Palme del 1821: rappresentano i santi vescovi ravennati Apollinare, Severo, Orso e Pietro Crisologo.
L’iconografia di quest’abside richiama alla mente, per analogia, quella di Sant’Apollinare in Classe dove sempre quattro arcivescovi – Severo, Ecclesio, Orso, Ursicino -, in comunione con Sant’Apollinare raffigurato nel catino absidale, sono presentati negli abiti liturgici loro propri.
Potremmo leggere la scelta di raffigurare i vescovi dell’abside come una volontà precisa di porre in evidenza la successione apostolica che lega i vescovi tra loro. Inoltre la presenza della sede episcopale, posta in posizione centrale all’interno del coro absidale, mette in stretto contatto il vescovo celebrante con i suoi predecessori ad indicare una comunione tra la chiesa celeste e quella terrestre.
L’iconografia scelta da Codronchi per le tele del Duomo rimanda a momenti paradigmatici della vita dei vescovi raffigurati: San Pier Crisologo moribondo presso l’altare di San Cassiano in Imola (di Pietro Benvenuti, 1769-1844); Sant’Orso che consacra la basilica da lui costruita (di Vincenzo Camuccini, 1771-1844); San Severo che scende al sepolcro della moglie (di Gioacchino Giuseppe Serangeli, 1768-1852); Sant’Apollinare che fa precipitare il tempio di Apollo (di Giuseppe Collignon, 1778-1863).
La tela raffigurante San Pietro Crisologo presenta la morte dell’arcivescovo secondo quanto raccontato nel Liber Pontificalis: “In seguito questo beatissimo Pietro capì in ispirito che era arrivata la fine della sua vita. Si secò nella chiesa corneliense [imolese], entrò nella basilica di S. Cassiano, offrì dei doni e cioè un cratere d’oro, una patera argentea e dei grandi diademi d’oro ornati di preziosissime gemme. Con tutti questi toccò il corpo di San Cassiano e poi li depose sull’altare di quella chiesa. Poi stando sul basamento vicino all’altare, a braccia allargate benedisse tutto il popolo e i sacerdoti e pregò dicendo: “Tu, Signore Dio, mettesti l’anima in questo corpo; tu ora misericordioso riprendila, perché io sono tua creatura. Non mi venga incontro il perfido diavolo, ma l’angelo tuo santo l’accolga e tu ordina che la ponga in seno ai patriarchi, dove permane la luce e c’è gaudio immenso. E ora, Signore, faccio confessione di fede in te con le labbra e col cuore; tu che hai tutto creato dal nulla, che solo conosci il passato, il presente e il futuro, dona a questo popolo un cuore docile, perché ti temano e riconoscano che tu sei Dio su nel cielo e giù in terra, che per mezzo del tuo santo Figlio hai recuperato la salvezza di tutto il genere umano, in cui crediamo come Dio e signore degli angeli, che sei benedetto nei secoli dei secoli (…). E al popolo che piangeva disse: “Figli carissimi, ascoltatemi. Io me ne vado e mi avvio per la strada dell’universo dove è la casa di ogni vivente. Adesso, figli, consolatevi e siate uomini saggi (…). La benedizione del Signore Dio onnipotente sia su di voi e sui vostri figli di generazione in generazione, ora e sempre nei secoli dei secoli”.
Quando tutti ebbero risposto “Amen”, rivolto all’altare di San Cassiano disse: “Ti prego, beato Cassiano, intercedi per me! Io sono stato quasi uno di casa tua, allevato nel grembo di questa chiesa da Cornelio, vescovo di questa sede. Tornato a te, affido ora l’anima mia a Dio onnipotente, a te raccomando il mio corpo. Mentre diceva queste e altre simili parole, come eruttando, esalò lo spirito tutto lieto mentre i presenti piangevano, il giorno 3 dicembre. I muratori rapidamente apprestarono il sepolcro dietro alla chiesa stessa, nel luogo dove egli aveva ordinato e li fu accolto il suo santo corpo, che vi rimane fino ai nostri giorni” (traduzione a cura di Mario Piepaoli).
Alessandro Cappi, futuro segretario della Provinciale Accademia di Belle Arti di Ravenna, scrisse un commento in occasione dell’inaugurazione delle tele dell’abside e a proposito del dipinto del Crisologo ebbe a dire: “Il valido nostro Pittore ha posto l’Arcivescovo nel Sotterraneo del Tempio della Chiesa Imolese di S. Cassiano sovra l’ultimo scaglione dell’Altare, ch’è dipinto in fianco alla sinistra del quadro. Vedi sul medesimo l’urna contenente le ceneri le ceneri del martire Cassiano. Vedi Crisologo che colpito alla morte cadendo all’indietro è sostenuto sotto le ascelle da un Prete, che gli guardale spalle: un altro Prete pallido pel dolore tenta di soccorrerlo gittandosi colle mani alle piegate ginocchia. Giù dai gradi dell’Altare a mancina del quadro vi ha un Senatore che ci volta le reni, e tenendo il ginocchio diritto a terra, e l’altro levato, preso da meraviglia è in atto di rizzarsi. Vicino scorgi un fanciullo levare l’attonito viso ad una figura spaventata, che lo tiene tra le ginocchia, colla quale ha voluto immaginare il Pittore un personaggio ragguardevole della città. Nel fianco dell’Altare sono due Chierichetti graziosissimi in veste cerulea, il primo de’ quali tiene un piattello con sopra due ampolle guardando attentamente il Santo, il secondo invano spande le braccia. Stà a destra del quadro un Vecchione venerando in piedi pieno di meraviglia. Queste diremo le principali figure. Nello indietro vi è una Donna che guarda attentamente il suo Arcivescovo, un’Uomo, il di cui ufficio vedesi essere stato quello di portare la Croce: ma in quest’ora lasciatasela cadere nel petto alza le mani, e un Vecchio dolente di tanta sciagura. Più addentro, e da lunghe fra le colonne si vedono tre addolorate Donne. Dall’alto scendono due Angeli preceduti da una striscia di luce, uno de’ quali pare ardentemente chiami quella sant’Anima al Paradiso, l’altro che gli voglia far dono di una verde corona”.
Giovanni Gardini