L’iconografia di Daniele nella fossa dei Leoni, di chiara ispirazione biblica (Dn 6, 17-25; Dn 14, 31-42), è tra le più antiche immagini della tradizione cristiana. Fin dai primi secoli la sua vicenda è stata interpretata come prefigurazione della vittoria di Cristo sulla morte e, in quanto immagine di resurrezione, ha avuto un’enorme diffusione. Al proposito scrive Afraate, Padre della chiesa Siriaca: «Daniele fu perseguitato e anche Gesù fu perseguitato (…). Gettarono Daniele nella fossa dei leoni, ma si salvò e risalì illeso; fecero scendere Gesù nella fossa dei morti, ma risalì e la morte non ha più potere su di lui (…). Quando Daniele risalì furono svergognati i suoi calunniatori; quando Gesù risorse furono svergognati tutti i suoi crocifissori». A Ravenna la sua figura è presente in diversi contesti: compare in uno stucco del Battistero Neoniano, nella Capsella dei santi Quirico e Giulitta del Museo Arcivescovile, negli splendidi sarcofagi di Isacio in San Vitale e della Traditio legis nel Museo Nazionale. Sempre nel Museo Nazionale l’iconografia di Daniele compare anche in una piccola placchetta di bronzo e in un’icona databile tra XVII e XVIII secolo. Egli è raffigurato in un pluteo nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo e nel portale ligneo del refettorio del monastero camaldolese di Classe, oggi Sala dantesca, opera della fine del XVI secolo.
Giovanni Gardini
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