La figura dell’orante

L’iconografia dell’orante, figura frontale, eretta, con le braccia e le palme delle mani protese verso il cielo, è una immagine antichissima.
Madonna greca
Madonna greca

Brevi note di iconografia guardando all’immagine della Madonna greca

 

«Donna, se’ tanto grande e tanto vali,/ che qual vuol grazia e a te non ricorre,/ sua disïanza vuol volar sanz’ali. /La tua benignità non pur soccorre/ a chi domanda, ma molte fïate/liberamente al dimandar precorre».

Dante, Paradiso XXXIII, 13-18

L’iconografia dell’orante, figura frontale, eretta, con le braccia e le palme delle mani protese verso il cielo, è una immagine antichissima che proviene dall’arte pagana, successivamente ripresa e reinterpretata dalla comunità cristiana[1]. Il gesto del pregare con le mani rivolte verso l’alto è trasversale a diverse tradizioni e culture e vari sono i contesti che si potrebbero citare nei quali segnalare questo atteggiamento dell’uomo che si rivolge alla divinità[2].

Anche la tradizione ebraica – e così la tradizione cristiana – riconosce in questo gesto il segno della preghiera dell’uomo. Più volte, nel libro dei Salmi, le mani alzate rimandano alla supplica che l’uomo innalza al Dio di Israele: «Alzate le mani verso il santuario e benedite il Signore» (Salmo 134, 2); «Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; porgi l’orecchio alla mia voce quando t’invoco. La mia preghiera stia davanti a te come incenso, le mie mani alzate come sacrificio della sera (Salmo 141, 1-2). Non possiamo non citare, inoltre, le mani di Mosè levate verso il cielo durante la battaglia tra Israele e gli Amaleciti: «Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalek».

L’iconografia dell’orante è presente in ambito funerario già presso il mondo romano e nella prima iconografia cristiana, nei sarcofagi e nelle pitture delle catacombe, sarà uno dei temi centrali per esprimere la speranza nella vita oltre la morte.

Nell’arte paleocristiana il gesto dell’orante fu associato anche a diverse figure bibliche come Noè nell’arca, i tre giovani nella fornace ardente, l’innocente Susanna, Daniele nella fossa dei leoni[3]. Nella raffigurazione della parabola del fariseo e del pubblicano al Tempio (Lc 18, 9-14) nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo il fariseo è raffigurato nel gesto dell’expansis manibus, mentre il pubblicano si batte il petto. Come oranti sono raffigurati santi e sante e nella figura del protovescovo Apollinare nella Basilica classense a lui dedicata ne abbiamo un chiaro esempio.

Ben presto il gesto dell’orante è associato alla figura di Maria, la Madre[4]. La Vergine è così raffigurata nelle pitture delle catacombe, nei vetri dorati, poi negli avori, un’immagine che, lungo i secoli, diventerà un modello ricorrente per l’iconografia mariana. In ambito ravennate lo straordinario bassorilievo meglio conosciuto come Madonna greca nella Basilica di Santa Maria in Porto e il mosaico medievale commissionato dall’arcivescovo Geremia per l’abside della Basilica Ursiana – il lacerto della Vergine orante è custodito al Museo Arcivescovile – riportano questa iconografia. Anche nella cosiddetta croce del Vescovo Agnello del Museo è presente la Vergine con le mani alzate al cielo, il grande gesto della preghiera. Ad una rappresentazione come questa corrisponde, evidentemente, la fede della comunità cristiana che riconosce nella Santa Vergine Colei che intercede, con la sua incessante preghiera, presso Dio.

Giovanni Gardini

NOTE

[1] Sull’iconografia dell’orante si veda: F. Bisconti, Orante in Temi di iconografia paleocristiana, cura e introduzione di F. Bisconti, Città del Vaticano 2000, pp. 235-236; J. Dresken-Weiland, Immagine e parola. Alle origini dell’iconografia cristiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012, pp. 37-64.

[2] «Anche dalla letteratura romana si può desumere che il gesto fosse utilizzato nella preghiera. (…). Virgilio, nel suggestivo racconto che Enea fa a Didone sulla fine di Troia, ricorda che il padre Anchise, accingendosi a pregare Zeus, levò gli occhi pieni di speranza verso le stelle e tese le mani al cielo», Bisconti 2000. P. 235.

[3] Sull’iconografia di Daniele nei monumenti ravennati si veda: G. Gardini, Il profeta Daniele nella fossa dei leoni in RisVeglio Duemila, 28 febbraio 2014, p. 6;

[4] U. Utro, Maria in Bisconti 2000, pp. 212-215.

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