Maria Maddalena, prima apostola del Risorto

Riconosci colui dal quale sei riconosciuta. Io ti conosco non come si conosce una persona qualunque, ma in modo del tutto speciale. Maria dunque, chiamata per nome, riconosce il Creatore e subito grida: «Rabbunì», cioè «Maestro».
Noli me tangere
Noli me tangere, Chiesa di Santa Maria Maddalena, Ravenna

In via Corrado Ricci, a Ravenna, c’è una piccola chiesa dedicata a Santa Maria Maddalena, nota come chiesa dell’adorazione[1].
La sua fondazione è antica e nei documenti d’archivio è attestata sin dal 1076 con il nome di Santa Maria in Luminaria[2]. L’edificio, per come lo conosciamo, è frutto di una ricostruzione settecentesca, avvenuta tra il 1748 e il 1749, voluta dal parroco Don Francesco Saverio Serra, su disegno del camaldolese Fausto Pellicciotti[3].
Il 18 maggio del 1749 la nuova fabbrica fu consacrata dall’arcivescovo Ferdinando Romualdo Guiccioli (1745-1763)[4]. Sull’altare maggiore fu posta una bella pala di Filippo Pasquali raffigurante il Noli me tangere – non mi trattenere -, cioè l’incontro, nel giardino della resurrezione, tra Maria Maddalena e il Signore, secondo quanto narrato dal quarto vangelo (Gv 20, 1. 11-18)[5]. Successivamente, sempre su interessamento del Serra, la chiesa fu decorata dal ravennate Giuseppe Cuppini e quattro grandi tele furono commissionate ad autori diversi affinché fossero mostrati alcuni momenti salienti della vita di Maria Maddalena: Domenico Corvi dipinse La Maddalena al Sepolcro e Cristo in casa di Marta e Maria, Marcello Leopardi Maddalena confortata dagli angeli, Tommaso Sciacca Cristo in casa di Simone il Fariseo, opere che costituiscono, in unità con la tela del Pasquali, un vero e proprio ciclo pittorico dedicato alla donna di Magdala[6].

Maria Maddalena, nel corso dei secoli, è stata accostata alla donna che bagnò con le sue lacrime i piedi del Signore asciugandoli con i suoi capelli, baciandoli e cospargendoli di profumo e riconosciuta con Maria sorella di Marta e di Lazzaro[7]. Gregorio Magno, nella chiesa latina, fu il primo a riunire in un’unica figura queste donne, indentificando colei che nei vangeli è conosciuta con il nome di Maria Maddalena, con la peccatrice anonima (Lc 7, 36-50), con Maria di Betania sorella di Marta e Lazzaro (Lc 10, 38-42; Gv 11, 2; Gv 12, 1-8) o con la donna di Betania, anch’essa senza nome, che cosparse di unguento il Cristo (Mt, 26, 6-13; Mc 14, 3-9)[8]; tutta la tradizione successiva confermò, per la chiesa occidentale, questa lettura[9]. La Leggenda aurea di Jacopo da Varagine non farà che ampliare e arricchire con innumerevoli dettagli gli essenziali riferimenti evangelici, dando vita ad una narrazione leggendaria e immaginifica, ambientata ben oltre i confini della Terra Santa[10].

Tra i quadri dedicati alla Maddalena presenti in questa chiesa, tre si ispirano al capitolo ventesimo del Vangelo di Giovanni (20, 1.11-18), a quei versetti straordinari che raccontano la tenace resistenza di questa discepola del Signore a voler restare alla tomba vuota del Maestro e del suo incontro con il Risorto: i quadri del Corvi La Maddalena al Sepolcro e del Leopardi costituiscono una sorta di preludio alla tela del Pasquali[11]. Domenico Corvi dipinge La Maddalena che di buon mattino, quando era ancora buio, si reca al sepolcro; tra le mani stringe il prezioso vaso con gli unguenti profumati. Se la parte destra della tela presenta, in lontananza, la città di Gerusalemme, alla sinistra dell’opera si vede il sepolcro la cui pietra è già stata rotolata via: alla base del quadro, sul muro, è trascritto, in latino, il primo versetto del ventesimo capitolo di Giovanni: «invenit mane, cum adhuc tenebrae essent, ad monumentum,/ et vidit lapidem sublatum a monumento», si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.

Leopardi presenta il momento successivo all’ingresso di Pietro e Giovanni nel sepolcro – essi sono dipinti sulla sinistra dell’opera, intenti a parlare, mentre si allontanano dalla tomba vuota – cioè quel tempo in cui la Maddalena, vedendo i due angeli in bianche vesti, dice tutta la sua disperazione: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto» (Gv 20, 14). Alle sue mani, serrate nel gesto della supplica, fanno eco i gesti degli angeli che indicano alternativamente il cielo e la tomba vuota. Anche qui il testo latino dipinto sulla parete commenta la scena: «stabat ad monumentum foris plorans… et vidit duos angelos/ in albis sedentes… dicunt ei illi: mulier quid ploras?», stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva… e vide due angeli in bianche vesti, seduti … essi le dissero: «Donna, perché piangi? (Gv 20, 11-13).

Lo sguardo di chi entra nella chiesa è tuttavia proteso verso l’altare e alla grande pala posta sopra di esso raffigurante l’incontro tra la Maddalena e il Risorto. Maria, è avvolta in uno sfolgorante abito ocra, ha il volto segnato dal dolore, gli occhi sono ancora affaticati dal pianto; le mani reggono il vaso prezioso, ormai inutile. Davanti a lei è Gesù, un drappo di un intenso blu riveste il corpo nudo dell’Adamo risorto. La vanga abbandonata dietro di lui, ricorda il fraintendimento della donna che ha scambiato, il Signore della creazione, per il custode del giardino. Le mani di Gesù, trafitte dai chiodi, sono la voce che desta alla vita: se la sinistra suggerisce un gesto di affetto, quasi una benedizione, la destra invita l’apostola degli apostoli, ad andare dai discepoli[12]. Tra loro è una pianta di rose rosse, mentre alle spalle della Maddalena un angelo incrocia le mani sul petto, quasi a custodire le prime parole del Risorto.

Anche in questo caso il testo evangelico, dipinto sul muro dietro al tabernacolo, accompagna la scena: «dicit ei Iesus: noli me tangere… vade autem ad fratres meos, et dic eis:/ ascendo ad patrem meum, et patrem vestrum deum meum et deum vestrum», Non mi trattenere… ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro (Gv 20, 18). Tuttavia, non è questo il testo che, a nostro avviso, rivela la potenza di questo incontro che, dalla liturgia, è stato riletto in chiave nuziale[13]. Sulla sommità dell’architettura dipinta che incornicia il quadro, due angeli custodiscono un cartiglio sul quale è scritto un passo tratto dal Cantico dei Cantici, parole che svelano la Bellezza che qui si manifesta: «inveni quem diligit anima mea», trovai l’amore dell’anima mia (Ct 3, 4).

Tra le più belle pagine scritte a commento di questo passo del quarto vangelo si colloca l’omelia di San Gregorio Magno: «Maria Maddalena, venuta al sepolcro, e non trovandovi il corpo del Signore, pensò che fosse stato portato via e riferì la cosa ai discepoli. Essi vennero a vedere, e si persuasero che le cose stavano proprio come la donna aveva detto. Di loro si afferma subito: «I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa»; poi si soggiunse: «Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva» (Gv 20, 10-11). In questo fatto dobbiamo considerare quanta forza d’amore aveva invaso l’anima di questa donna, che non si staccava dal sepolcro del Signore, anche dopo che i discepoli se ne erano allontanati. Cercava colui che non aveva trovato, piangeva in questa ricerca e, accesa di vivo amore per lui, ardeva di desiderio, pensando che fosse stato trafugato.

Accadde perciò che poté vederlo essa sola che era rimasta per cercarlo; perché la forza dell’opera buona sta nella perseveranza, come afferma la voce stessa della verità: «Chi persevererà sino alla fine, sarà salvato» (Mt 10, 22). Cercò dunque una prima volta, ma non trovò, perseverò nel cercare, e le fu dato di trovare. Avvenne così che i desideri col protrarsi crescessero, e crescendo raggiungessero l’oggetto delle ricerche. I santi desideri crescono col protrarsi. Se invece nell’attesa si affievoliscono, è segno che non erano veri desideri. Ha provato questo ardente amore chiunque è riuscito a giungere alla verità. Così Davide che dice: «L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 41, 3). E la Chiesa dice ancora nel Cantico de Cantici: Io sono ferita d’amore (cfr. Ct 4, 9). E di nuovo dice: L’anima mia è venuta meno (cfr. Ct 5, 6). «Donna perché piangi? Chi cerchi?» (Gv 20, 15). Le viene chiesta la causa del dolore, perché il desiderio cresca, e chiamando per nome colui che cerca, s’infiammi di più nell’amore di lui. «Gesù le disse: Maria!» (Gv 20, 16). Dopo che l’ha chiamata con l’appellativo generico del sesso senza essere riconosciuto, la chiama per nome come se volesse dire: Riconosci colui dal quale sei riconosciuta. Io ti conosco non come si conosce una persona qualunque, ma in modo del tutto speciale. Maria dunque, chiamata per nome, riconosce il Creatore e subito grida: «Rabbunì», cioè «Maestro»: era lui che ella cercava all’esterno, ed era ancora lui che la guidava interiormente nella ricerca»[14].

Giovanni Gardini

Filippo Pasquali, Cristo appare nell’orto a Maddalena.

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Giuseppe Cuppini, affreschi.

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Filippo Pasquali, Cristo appare nell’orto a Maddalena (dettaglio).

3) TRE.JPG

NOTE:

[1] Nei mesi scorsi la chiesa è stata oggetto di un intervento di restauro, con una particolare attenzione alla copertura del tetto: si veda la breve nota apparsa su RisVeglio Duemila del 4 settembre 2015, p. 5. Desidero ringraziare don Francesco Chinaglia e Armando Tezzi Bragallini per la disponibilità con cui mi hanno permesso di studiare le opere presenti in chiesa.

[2] Per ulteriori, seppur brevi, notizie sull’edificio si veda: A. Tarlazzi, Memorie sacre di Ravenna, Ravenna nella Tip. del ven. Seminario Arciv. 1852, pp. 311-313; M. Mazzotti, Itinerari della sacra visita (da «L’argine», 1954-1956), a cura di G. Rabotti, Libreria Antiquaria Tonini, Ravenna 2003, pp. 113-114.

[3] Sulla figura di don Francesco Saverio Serra, uomo di grande carità, si veda: P. Uccellini, Dizionario Storico di Ravenna e altri luoghi di Romagna, nella Tipografia del Ven. Seminario Arciv. 1855, p. 446.

[4] Tarlazzi 1852, p. 312.

[5] G. Viroli, I dipinti d’altare della Diocesi di Ravenna, Banca Popolare pesarese e ravennate 1991, pp. 202-203.

[6] G. Viroli, 1991, pp. 196-197; 204- 205; 200-201; 208-209. Nella chiesa di Santa Maria Maddalena sono custoditi anche due importanti quadri di Andrea Barbiani raffiguranti Sant’Apollinare e San Romualdo e una Madonna con Bambino e santi.

[7] Due piccole pitture monocrome poste rispettivamente a destra e a sinistra della pala centrale, mostrano Maria Penitente e La resurrezione di Lazzaro, immagine quest’ultima che conferma come la tradizione abbia identificato Maria di Betania con la Maddalena.

[8] Maria Maddalena, chiamata con questo nome, compare nei seguenti passi evangelici: Lc 8, 2; Mc 16, 9 (la donna liberata dai sette demoni); Mt 27, 55-56; Mc 15, 40-41; Lc 23, 49; Gv 19, 25 (assiste alla morte di Gesù); Mt 28, 1; Mc 16, 1.9; Lc 24, 10; Gv 20, 1. 11-18 (è la prima che vede il risorto e lo annuncia ai discepoli).

[9] «I Padri, la liturgia e gli autori greci e orientali, fino ai nostri giorni, tendono a distinguere tre diverse donne»: per un’ottima sintesi sulla questione si veda l’accuratissimo studio di Victor Saxer in Bibliotheca Sactorum, Città Nuova Editrice, Roma 1966, Vol. VIII, coll. 1078-1081.

[10] J. Da Varagine, Leggenda aurea, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2005, Vol 1, pp. 393-404.

[11] Già abbiamo commentato questo brano evangelico ammirando i bellissimi stucchi di Antonio Martinetti nella Cappella del Crocifisso della Chiesa di Santa Maria del Suffragio: G. Gardini, I simboli della passione di Cristo nella chiesa di Santa Maria del Suffragio a Ravenna, in RisVeglio Duemila del 27 marzo 2015, p. 2.

[12] «Il Vangelo (…) mette in rilievo il ruolo particolare di Maria di Magdala. E’ la prima ad incontrare il Cristo risorto. (…). Per questo essa venne anche chiamata «la apostola degli apostoli», Maria di Magdala fu la testimone oculare del Cristo risorto prima degli apostoli e, per tale ragione, fu anche la prima a rendergli testimonianza davanti agli apostoli», Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 16. Si veda anche la nota 38.

[13] Le letture della memoria di Santa Maria Maddalena iniziano con il Cantico dei Cantici:  Ct 3, 1-4 a (oppure 2 Cor 5, 15-17); Salmo 62, 2. 4-5. 7b-9; Gv 20, 1. 11-18.

[14] Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa: Om 25, 1-2. 4-5; PL 76, 1189-1193.

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