San Severo vescovo di Ravenna

La sua vicenda agiografia di San Severo ci conduce alle origini della chiesa ravennate, ai primordi di una storia tanto importante, quanto straordinaria.
San Severo
San Severo, dettaglio del quadro nel Duomo di Ravenna

La chiesa di Ravenna-Cervia celebra, il primo febbraio, la memoria di San Severo, ricordato nella cronotassi episcopale ravennate come undicesimo successore di Sant’Apollinare[1]. La sua vicenda agiografia ci conduce alle origini della chiesa ravennate, ai primordi di una storia tanto importante, quanto straordinaria. La sua effigie, in abiti sacerdotali, è nell’area absidale della Basilica di Sant’Apollinare in Classe, congiunta all’iscrizione sanctus severus, innegabile attestazione di culto fin dall’epoca antica, come lo sarà la Basilica eretta in suo onore all’interno della città di Classe.

Egli è il primo, tra i vescovi ravennati, ad avere una cronologia accertata: egli è attestato al Concilio di Serdica (342-43) – oggi Sofia, in Bulgaria – un Concilio che, tra i vari temi trattati, affermava la fede nicena, antiariana. Il suo nome compare tra i firmatari del Concilio, Severus ab Italia, de Ravenna e nella lettera inviata a Papa Giulio, Severus ab Italia de Ravennensi[2].

Le prime fonti scritte relative alla sua biografia sono del IX secolo e risalgono ad Andrea Agnello, autore del Liber Pontificalis e a Liutolfo, autore di una testo dove, oltre alla vita, si racconta della traslazione delle reliquie del Santo prima a Magonza, poi a Erfurt[3]. Questi testi saranno ripresi da un’anonima Vita dell’XI secolo, la Vita vel acta sancti Severi confessoris archipraesulis ravennatis, e da due Sermoni di San Pier Damiani[4].

Con Severo si chiude la serie dei vescovi colombini, gli undici successori di Apollinare accomunati dalla leggenda legata alla loro miracolosa elezione per mezzo di una colomba: essa, posandosi sul loro capo nel momento in cui la comunità cristiana era radunata per l’elezione del vescovo, li avrebbe designati alla cattedra ravennate[5].

Il Liber Pontificalis è un testo fondamentale per chiarire l’agiografia, l’iconografia ed il culto di questo santo ravennate. All’interno del testo agnelliano, la parte dedicata a Severo, dopo la Vita di Apollinare che comunque per varie ragioni va considerata come una storia a se stante, è quella più strutturata. Se ai primi dieci successori di Apollinare sono dedicate solo poche righe ciascuno, per quanto riguarda Severo il testo è più articolato, anche se l’Autore mette ben presto in guardia i suoi lettori dichiarando subito di non conoscere una storia scritta e, implicitamente, la sua difficoltà nel tracciare una biografia solida dal punto di vista della documentazione. Andrea Agnello, quindi, procede con cautela, preferibilmente accostando vari temi riguardanti il Santo, più che narrando una sua Vita.

L’autore inizia spiegando il senso del nome, Severo, che non va inteso in senso negativo, ma come segno di fortezza, vero pontefice massimo e fin da subito è introdotto il tema della sua straordinaria elezione, argomento che sarà più ampiamente narrato in seguito[6].

Il testo agnelliano, come accennato, procede per passaggi che, tralasciando volutamente una sequenza cronologica, mirano a mettere in luce la santità del vescovo attraverso la narrazione di fatti prodigiosi. Si racconta quindi di come Severo, mentre celebrava a Ravenna, fosse condotto in spirito a Modena per assistere alla morte e sepoltura di Geminiano[7].

A questo evento prodigioso, che induce i ravennati a venerare maggiormente la sua santità, segue il racconto della sua morte che s’intreccia con la storia della sepoltura della figlia Innocenza e della moglie Vincenza: «Un giorno, dopo aver celebrato la messa e avere preso il sacro corpo e sangue del Signore, rivestito della stola vescovile, ordinò di aprire il suo sepolcro ed entratovi vivo ordinò di esservi chiuso mentre giaceva fra la sposa e la figlia. E li pregando rese la preziosa anima a Dio. In tale pace e serenità morì il 1° febbraio. E molti prodigi mostrò il Signore presso il suo sepolcro, nella sua chiesa, che è situata nell’antica città di Classe, non lontano dalla zona che è detta Salutare, fino ai nostri giorni»[8].

Nel coro del Duomo di Ravenna è un grande quadro che raffigura la morte di Severo secondo la tradizione riportata nel Liber Pontificalis. L’opera, dipinta da Gioacchino Giuseppe Serangeli (1768-1852), fu commissionata dall’arcivescovo Antonio Codronchi (1785-1826) insieme alle altre tre tele che adornano il coro, dipinte ciascuna da un diverso autore[9].

Terminata la narrazione della morte del Santo – episodio che oltre a mettere in luce la profonda fede nella resurrezione, mostra come esso fosse stato sepolto insieme alla moglie e alla figlia, sottolineatura quest’ultima preziosissima quando si dovrà affrontare il tema delle reliquie – lo Storico narra un episodio che esalta la potenza taumaturgica di Severo e per il quale offre al lettore un solido appiglio, poiché l’uomo che ha beneficiato della benevolenza del santo, come detto nel testo, è ancora vivo. Leggiamo nel Liber Pontificalis: «E di nuovo racconterò a voi quello che abbiamo visto accadere ai nostri tempi: lo richiamo alla memoria perché ricordiate. Un uomo, che oggi vive ancora, da piccolo per una infermità fisica insieme con sua madre si era prostrato davanti al sepolcro del santo confessore di Cristo Severo e tutti furono colti dal sonno; nel cuore della notte solo il piccolo infermo fu preso da spavento ed emise un grido, svegliando tutti. Tutti quelli che erano stati davanti alle candele spente, le videro brillare al loro fulgore. E avendo tutti visto una luce straordinaria, spaventati in cuor loro, diedero gloria a Dio e al suo confessore Severo. Il bambino fu condotto in mezzo a loro e la madre cominciò a interrogarlo: “Che cosa ti è successo, figlio mio?”. Ed egli, in presenza di tutti, disse: “Ho visto un uomo che usciva da questo sepolcro in abiti vescovili, ornato di capelli bianchi, dal volto angelico: mi ha toccato e mi sono spaventato”. Immediatamente l’infermità si allontanò da lui ed egli non ebbe più la febbre. Questo fatto è accaduto a nostri tempi, e non solo questo, ma molti altri»[10].

La Vita termina con il racconto dell’elezione miracolosa di Severo – tema già introdotto sin dall’inizio – avvenuta grazie alla colomba che, per tre volte, si posò sul suo capo. Nell’economia della narrazione alla moglie del Santo è affidato un ruolo non secondario, quello di rafforzare l’idea – sottolineando l’inadeguatezza di Severo – di come la scelta del marito per l’arduo compito di pastore della chiesa ravennate, sia avvenuta esclusivamente per l’esplicito e potente intervento divino. Il racconto gioca anche sul contrasto tra gli indumenti squallidi e sudici del santo che lo portano a nascondersi e la colomba più candida della neve che si poserà sul suo capo, altro elemento che mira a porre in evidenza i criteri di Dio; non a caso il racconto si chiude con l’accenno alla Prima Lettera ai Corinti: «Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi davanti a Dio»[11]. Pier Damiani inizia il quinto Sermone traendo spunto dall’elezione di Severo, per ribadire il criterio di discernimento di Dio: «Fratelli carissimi, nel leggere la storia del beato Severo avete udito come Dio lo trasse dalla bottega di lanaiolo, come in modo mirabile lo chiamò alle altezze dell’episcopato, non soltanto indipendentemente dall’opinione di tutti i cittadini, ma anche dalla sua (…). O dilettissimi, mi piace allora lasciare che si diffondano i raggi della luce interiore su questo spettacolo bellissimo e riflettere, per quanto mi è possibile, su quanto sia diverso il giudizio di Dio rispetto a quello degli uomini». Il Sermone si dilunga, immaginando di scrutare i diversi stati d’animo degli uomini riuniti in attesa della discesa dello Spirito Santo e, non senza ironia, l’omileta descrive chi si augura di essere lui l’eletto: «Oh, se la colomba scendesse sopra di me, se Dio scegliesse me!»[12]. Se la colomba si poserà su Severo – pare chiosare Pier Damiani – è perché egli già da tempo ospitava lo Spirito di Dio nel suo cuore: «Scese finalmente la colomba e, con meraviglia di tutti, si posò sul capo del prescelto. E certamente, già da molto tempo dimorava invisibile nel petto di colui sulla cui testa ora discendeva in forma corporea»[13].

Nel quarto Sermone Pier Damiani, già aveva ricordato la miracolosa elezione di Severo, traendo spunti morali per i suoi ascoltatori: «Avete sentito, fratelli carissimi, la vita di quest’uomo povero di beni, ma dovizioso di ricchezze e di virtù? Avete sentito come un uomo di bassa condizione davanti agli uomini fu sollevato alle sublimi altezze al cospetto di Dio? Avete sentito di un uomo squallido perché coperto da lacere vesti, ma splendido per l’onesta dei costumi? Dove sono coloro che dicono: “Noi non possiamo  osservare i precetti di Dio, perché non abbiamo beni terreni bastevoli alle nostre necessita”? Dove sono, ripeto, coloro che mentre cercano di trovar scuse davanti agli uomini si rendono molto più gravemente inescusabili nei riguardi di Dio? Si facciano avanti e sull’esempio del beato Severo imparino ad abbondare di vere ricchezze, affinché non avvenga che, mentre sono privi di beni, siano pieni di vizi, e che la povertà, come un camino, se non vale a purificare dalla ruggine dei vizi, trasformi il metallo rovinato in fuliggine di inutili scorie. Ecco infatti che quest’uomo beatissimo, pur sottoposto al peso della sua indigenza, soddisfece largamente ai comandamenti e, non avendo altro, offrì se stesso sull’altare della santa semplicità, al modo di una grande colomba, in sacrificio graditissimo a Dio. E poiché per costumi egli fu come una colomba, meritò l’ufficio della colomba»[14].

Giovanni Gardini

[1] Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis a cura di D. Mauskopf Deliyannis, in Corpus Christianorum cxcix, Cambridge 2006, p. 154. Per una traduzione in lingua italiana si veda: Il libro di Agnello Istorico. Le vicende di Ravenna antica fra storia e realtà, traduzione e note a cura di M. Pierpaoli, Diamond Byte, Ravenna 1988, p. 38.

[2] J. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, 31 voll., Firenze-Venezia 1759-98; ristampa e continuazione in 53 voll., Parigi 1901-27, 1960, vol. III, pp. 39-40. L’attestazione di Severo a Serdica – un dato importantissimo – non compare nella primitiva redazione del testo agnelliano. L’annotazione riportata nel Liber Pontificalis – in sardicense concillio cum legatis romane ecclesie, vir sanctus interfuit hic Severus – è, come nota il Testi Rasponi, un’aggiunta del XV secolo riportata dal Codice Estense: sulla questione si veda Codex pontificalis ecclesiae Ravennatis, RIS, II, 3, Bologna 1924, p. 44, nota 5. Per un inquadramento generale sulle problematiche relative ai manoscritti del Liber Pontificalis si vedano: Testi Rasponi 1924, pp. VI-VIII; R. Benericetti, Il Pontificale di Ravenna. Studio critico, Faenza 1994, pp. 11-24; Mauskopf Deliyannis 2006, p. 53-93.

[3] Liutolfus presbyter Moguntinus, Vita et translatio Severi ep. Ravennatis (BHL 7681-7682), ed L. de Heinemann, in MGH Scriptores XV, Hannoverae 1887, pp. 289-293. Per la storia della traslazione delle reliquie di Severo, si veda il testo di Martina Caroli e la bibliografia ivi riportata: M. Caroli, Culto e commercio delle reliquie a Ravenna nell’alto medioevo, in Ravenna tra Oriente e Occidente: storia e archeologia, a cura di A. Augenti e C. Bertelli, Fondazione Flaminia Ravenna, Longo Editore, Ravenna 2007, pp. 15-27.

[4] Bibliotheca Hagiographica Latina, 7683; Pier Damiani, Sermoni (2-35), a cura di U. Facchini e L. Saraceno, Città Nuova 2013, pp. 140-167.

[5] Gli studi del Lucchesi, che riprendono i lavori del Lanzoni e del Testi Rasponi, segnano una tappa importante nelle indagini agiografico-liturgiche su San Severo e mettono in luce il valore del suo culto in rapporto ai suoi predecessori: «Nel processo di valutazione dei dieci oscuri nomi situati nel catalogo episcopale tra S. Apollinare e S. Severo, fu quest’ultimo che se li raggruppò attorno estendendo ad essi la leggenda  – o la tradizione – che lo riguardava, dell’elezione colombina. In un primo tempo invece, avanti che si formasse la leggenda severiana, era stato Apollinare ad illuminarli della sua luce»; cf. G. Lucchesi, Scritti ravennati di Giovanni Lucchesi, a cura di C. Moschini, Faenza 1992, p. 68; F. Lanzoni, S. Severo vescovo di Ravenna nella storia e nella leggenda, in «Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le province di Romagna», s. IV. Vol. I., Fasc. IV-VI, luglio-dicembre, Bologna 1911, pp. 325-396; F. Lanzoni, S. Severo vescovo di Ravenna nella storia e nella leggenda, in «Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le province di Romagna», s. IV. Vol. II., Fasc. IV-VI, luglio-dicembre, Bologna 1912, pp. 350-396; Testi Rasponi 1924, pp. 42-56.

[6] Il termine pontefice, in questo contesto, va inteso come sinonimo di vescovo.

[7] La cronologia di Geminiano non corrisponde esattamente a quella di Severo, pur collocandosi sempre all’interno del IV secolo; la morte del santo vescovo modenese è datata attorno all’anno 396. Questo passo sarà ripreso da Pier Damiani nel Sermone 5, 7.

[8] Pierpaoli 1988, p. 39.

[9] G. Viroli, I dipinti d’altare della Diocesi di Ravenna, Banca Popolare pesarese e ravennate, Pesaro 1991, pp. 86-87.

[10] Pierpaoli 1988, pp. 39-40.

[11] 1 Cor 1, 27-29.

[12] Pier Damiani 2013, Sermone 5, 1, p. 153.

[13] Pier Damiani 2013, Sermone 5, 1, p. 155.

[14] Pier Damiani 2013, Sermone 4, 2, p. 143.

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