Nella primavera del 1911 la Soprintendenza ai Monumenti della Romagna diede inizio a importanti lavori all’interno della Basilica di San Vitale che miravano a riportare il pavimento del deambulatorio alla sua quota originaria[1]. Durante questi scavi fu individuato e rimesso in luce un antico sacello che, secondo la tradizione, era stato costruito sul luogo del martirio e della conseguente sepoltura di San Vitale. In un articolo pubblicato nel 1913 Giuseppe Gerola dava notizia di questa importante scoperta e del mosaico di V secolo che era stato rinvenuto insieme alla base d’altare[2].
Lungo il corso dei secoli, sul luogo dove nei primi del ‘900 fu scoperta l’antica base d’altare e il pavimento musivo del sacello, era sempre stata viva la memoria del martirio di Vitale attraverso la presenza di un altare e di un pozzo a lui dedicati, costruiti, secondo la tradizione, sul luogo nel quale il santo era stato martirizzato. Stando alla tradizione agiografica, infatti, San Vitale era stato gettato in una profonda fossa per poi essere ricoperto di terra e sassi[3]. Il “pozzo” – che intercettava acqua di falda – era ritenuto degno di particolare venerazione e nella ricorrenza della festa del Santo, che in antico era celebrata il 28 aprile, veniva attinta acqua che veniva bevuta con grande devozione[4].
Girolamo Fabri, ne Le sagre memorie di Ravenna Antica, riporta al proposito una descrizione molto interessante, considerato, inoltre, che egli scrive prima dei rifacimenti settecenteschi che interessarono quest’area:
«Nella seconda [cappella] dedicata al glorioso Martire S. Vitale si riverisce il luogo del suo martirio, e la fossa, dentro cui fu buttato, ove poi nel tempo medesimo, che la chiesa si edificò, fu scavato un pozzo, la cui acqua anche oggi giorno si beve con molta divozione dal popolo, il giorno massimo della festa, e dentro a quello sta il corpo del Santo, che per quanto ne porta la tradizione antica dicesi essere dentro un’arca di marmo, e sopra vi sta eretto un nobilissimo Altare, che è privilegiato per i Defonti, (…) e il pozzo è di nobili marmi, e colonne egregiamente ornato»[5].
Gerola, oltre a fornire una puntuale descrizione degli scavi e a ricostruire la storia dei vari rifacimenti dell’altare dedicato a San Vitale avvenuti in epoca moderna, riferisce anche di due lastre marmoree settecentesche che dal pavimento furono asportate per essere portate in Museo: la prima lastra ottagonale, sulla quale era l’iscrizione «puteus martyrii s. vitalis», era stata posta a chiusura del pozzo e un foro al centro, chiuso da una lastra di rame[6], serviva per attingere l’acqua, mentre l’altra lastra di maggiori dimensioni, sempre di foggia ottagonale, recava incisa la scena del martirio del santo[7].
Quest’ultima, restaurata di recente[8], rappresenta il momento in cui il Santo è gettato nella fossa, qui già rappresentata come un pozzo, mentre tre soldati infieriscono contro di lui: il primo soldato è raffigurato mentre sta calando Vitale nella cavità, il secondo regge tra le mani una grossa pietra, il terzo, dotato di badile, spala la terra con la quale il Santo sarà ricoperto. Alla sinistra del pozzo, gettati a terra, sono i suoi abiti militari – stando alla tradizione agiografica egli era un soldato -, mentre nel cielo, tra nubi gloriose, un putto gli offre la corona della gloria e la palma del martirio. Il Santo è raffigurato in una posa scomposta, di profilo, con le gambe rivolte verso l’alto nel momento in cui viene calato nel pozzo, un’impostazione iconografica che ricorda, seppur con le debite differenze, quella della splendida pala di Federico Barocci che prima di essere portata a Brera, dove ancor oggi si trova, era custodita nella Basilica di San Vitale perché proprio per questa chiesa e per onorare la memoria del Santo soldato essa era stata pensata.
Giovanni Gardini
Bellissima l’opera di Federico Barocci: https://mmg.inera.it/frontend/pinacoteca-di-brera-2/luoghi/palazzo-brera/oggetti-esposti/il-martirio-di-san-vitale
Il presente articolo è stato pubblicato in Annali Romagna 2019, supplemento al n. 95 di Libro Aperto, rivista diretta da Antonio Patuelli (pp. 17-18).
[1] Si ringrazia la Dott.ssa Emanuela Fiori, Direttrice del Museo Nazionale, per aver concesso la pubblicazione della lastra marmorea raffigurante il martirio di San Vitale. Un ringraziamento sentito inoltre al prof. Michele Pagani per avermi fornito l’immagine della lastra restaurata.
[2] L’articolo di Giuseppe Gerola uscì in due riprese: G. Gerola, Il sacello primitivo di San Vitale, in Felix Ravenna, 1913, n. 10, pp. 427-432; G. Gerola, Il sacello primitivo di San Vitale, in Felix Ravenna, 1913, n. 11, pp. 459-470. Sul sacello di San Vitale si vedano inoltre: F. Di Pietro, Il prisco sacello di San Vitale a Ravenna in Bollettino d’Arte, 5, 6 dicembre 1925, pp. 241-251; R. Farioli, Ravenna paleocristiana scomparsa, Felix Ravenna 1961, Fasc. 32 (LXXXIII), pp. 5-9. Il mosaico del V secolo si trova lungo il deambulatorio, mentre la base d’altare si trova ancora in opera, costantemente ricoperta dall’acqua. Per la base d’altare si veda il seguente studio: L. Sotira, Gli altari nella scultura e nei mosaici di Ravenna (V-VIII secolo), Ante Quem, Bologna 2013, pp. 31-35.
[3] Per il martirio di Vitale si veda il seguente studio di Giovanni Lucchesi nel quale è messa in evidenza la tradizione che lo riconosce martire insieme a Ursicino: G. Lucchesi, Vitale, Valeria ed Ursicino, in Bibliotheca Sanctorum, Città Nuova Editrice, Roma 1969, Vol. XII, coll. 1229- 1231.
[4] Un altro pozzo era oggetto di devozione nella città di Ravenna. Esso si trova nella Basilica di Sant’Eufemia ed è legato alla memoria di Sant’Apollinare; secondo la tradizione da quel pozzo il Protovescovo avrebbe attinto acqua per battezzare. Per un approfondimento sulla storia e leggenda di questa tradizione si veda: M. Mazzotti, La chiesa di S. Eufemia. La più antica dell’Emilia? in Il Bizantino, Anno II, 1976, n. 4, pp. 1.4.
[5] G. Fabri, Le sagre memorie di Ravenna Antica, 1664, pp. 361-362.
[6] Corrado Ricci puntualizza che l’apertura della lastra non era chiusa da una grata bensì da «una semplice lastra di rame apribile con due cerniere». Egli dichiara di averla vista «sin dall’infanzia e per moltissimi anni, sino cioè al tempo vicino, in cui fu rubata», cf. C. Ricci, Chiesa di S. Vitale in Ravenna: l’altare maggiore e l’altare del Santo, in Felix Ravenna, 1913, n. 11, p. 482.
[7] Gerola ricorda, inoltre, che nel pavimento di San Vitale era presente un’altra lastra marmorea e che anch’essa fu tolta dalla Basilica di San Vitale e portata al Museo. Questa lastra rappresentava la scena del martirio di Sant’Ursicino, la cui vicenda agiografica è connessa a quella di San Vitale: «era inserita nel pavimento un’altra lastra marmorea (conservata ora pur essa in museo), raffigurante a grafito il miracolo di S. Ursicino colla testa troncata e germogliante in mano, intorno a cui girava in quadro la legenda: hic ursicinus capite obtruncato, martyrii palma adeptus est. Da presso era il sasso colle pretese impronte miracolose»; Gerola 1913, p. 468. Quando alcuni anni fa iniziai la ricerca di questi materiali provenienti dalla Basilica di San Vitale, grazie all’interessamento della Dott.ssa Aurora Ancarani, della Dott.ssa Elisa Emaldi e della Dott.ssa Ilaria Lugaresi furono rintracciate, nei magazzini del Museo Nazionale, solo le prime due lastre descritte da Gerola, quelle relative alla memoria di San Vitale.
[8] La lastra, spezzata in sette parti, è stata restaurata dalle studentesse della Laurea Magistrale a ciclo unico in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali sotto la supervisione del Prof. Michele Pagani nell’a. a. 2017-2018.