Cariatidi

Maestose e austere si ergono le Cariatidi di Luca Freschi. Figure silenziose ed enigmatiche, smisuratamente immobili.
Cariatidi, opere di Luca Freschi
Luca Freschi, Cariatidi, 2019 | Sala del refettorio, Museo Nazionale di Ravenna | ph Filippo Venturi

Solo resiste al tempo

quel che si fa

col tempo.

E quello che si fa 

con l’eternità?

Cristina Campo, La tigre assenza

Maestose e austere si ergono le Cariatidi di Luca Freschi. Figure silenziose ed enigmatiche, smisuratamente immobili, nascono dal gesto ponderato e attento dell’artista che in queste opere, con appassionata dedizione, ha fatto dell’equilibrio l’esercizio più alto del suo gesto creativo. 

Paiono un gioco, queste mirabili opere, e forse in parte lo sono, mentre ricordano la spensieratezza dei bambini che sulla spiaggia raccolgono la finissima sabbia, umida e grondante d’acqua, per creare impossibili guglie, spingendo fino all’estremo l’ornamento dei castelli costruiti in riva al mare. Eppure, se di gioco si tratta – con tutta la serietà che, giustamente, esso comunque esige – qui la misura è quella dell’arte e dunque alla vena ironica e misuratamente scanzonata si affianca la determinazione di chi ha scelto la strada ardua e appassionante della bellezza. La giocosità di queste opere, infatti, è solo apparente e dura il tempo di uno sguardo fugace o negligente; ad esse l’artista affida una riflessione profonda sull’esistenza e dietro alla loro levigata lucentezza si cela una visione a tratti tragica. Sono struggenti le Cariatidi e in questa loro dolce e discreta malinconia rientrano a pieno titolo in quella riflessione delicata e onesta sulla vita e sulla sua ineluttabile caducità così cara alla poetica di Freschi, tanto da divenire una delle cifre decisive e identificative di tutto il suo agire artistico; basti pensare alle serie dei Pavimenti d’ombre, delle Vanitas, delle Archeologie nelle quali, la stratificazione di oggetti, di objet trouvé, suggerisce un accumulo di storie ed emozioni. È in questo orizzonte di senso che si inseriscono le Cariatidi, la sua più recente creazione, pulsante di novità, nella quale è palpabile tutta l’energia di una ricerca complessa e ancora in divenire. Non hanno titolo queste sovrastanti presenze, quasi che l’una non possa fare a meno dell’altra. Per riconoscerle basta una sequenza numerica posta accanto a questo loro titolo collettivo – Cariatidi­ – ed eventualmente una parola, posta rigorosamente tra parentesi che le possa identificare in modo più stringente. Anche questo aspetto seriale, così verrebbe da definirlo, appartiene alla ricerca di Freschi che in questi anni ci ha abituato a guardare ai suoi lavori quasi fossero un’unica grande opera. Ci sono elementi che costantemente ritornano, composizioni che nella reiterazione si rafforzano, tanto che anche i gesti pur già detti danno vita a creazioni sapientemente inedite. Se la ripetizione, dunque, appartiene al suo sentire artistico, dobbiamo riconoscere che la serie delle Cariatidi offre, pur in continuità con il suo percorso d’artista, due spunti di assoluta novità: la verticalità e l’integrità. 

Se i Pavimenti d’ombre nella loro esibita orizzontalità – il punto di vista era sempre dall’alto – invitavano lo spettatore ad abbassare gli occhi, ora la richiesta va in una dimensione contraria perché è al cielo che si deve puntare lo sguardo. 

E poi l’integrità. Se dell’equilibrio del frammento Freschi è certamente maestro – basti pensare alla grazia di alcune Vanitas, a Il compianto degli amanti o al San Giovannino, ma anche alle Archeologie – ora la ricerca pare voglia indagare la strada dell’interezza contro ogni disgregazione. 

Procedono per sovrapposizioni e tendono instancabilmente verso l’alto queste solenni figure che dell’antico custodiscono la memoria, accogliendo nella loro esibita verticalità elementi dal sapore archeologico. Ed ecco comparire busti di statue, armoniosi capitelli, frammenti di colonne, e figurazioni della più alta tradizione iconografica come teschi o vigili civette. A queste sapienti reminescenze – forme talvolta anonime sempre date attraverso il calco, dunque ripetitive – l’artista associa, con inesauribile inventiva, grandi o piccoli vasi dalle forme e colori sempre diversi che recano in sé la ricchezza dei mondi e delle culture di cui portano il segno. Questi elementi, talvolta sfacciatamente e smisuratamente kitsch, nel loro ricercato ribaltamento delle forme – perché potresti non sapere più quale sia l’alto o il basso di questi eleganti e ricercati ready made – sono l’elemento più sconcertante di queste creazioni. Essi, infatti, sono marchiati dal segno indelebile della transitorietà della vita – su di essi la luce sfugge, inafferrabile – fino ad assurgere a memento mori nella piena e incessante fragilità di cui sono testimoni. I vasi. Lustri e compatti darebbero l’impressione di pienezza eppure non va dimenticato come, al contrario, essi siano inesorabilmente vuoti perché gli è stata negata, definitivamente, la loro natura accogliente. Non ospiteranno più magnifici fiori, sfoggio di un’esuberante vita. 

Sorprendono, dunque, le Cariatidi, dove gli ossimori liberamente convivono – fragilità e potenza, pienezza e disperazione, morte e vita – e s’impongono allo sguardo dominando la scena e intimando il silenzio.

Giovanni Gardini

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