La figura di San Girolamo

La figura di Girolamo, Padre e Dottore della Chiesa, appartiene a quella schiera di santi che, lungo il corso dei secoli, hanno sempre suscitato ammirazione e meraviglia .
San Girolamo
San Girolamo, Museo Diocesano di Faenza

Appunti di iconografia

La figura di Girolamo, Padre e Dottore della Chiesa, appartiene a quella schiera di santi che, lungo il corso dei secoli, hanno sempre suscitato ammirazione e meraviglia . Vissuto tra la metà del IV e gli inizi del V secolo, in un tempo dunque estremamente fecondo per la storia della Chiesa, san Girolamo entra in contatto con le grandi personalità di quell’epoca.
Roma, Treviri, Aquileia, Antiochia, Costantinopoli sono tra i principali luoghi da lui toccati senza dimenticare la straordinaria esperienza ascetica nel deserto di Calcide e quella in Terra Santa. Sarà proprio nella terra del Signore, a Betlemme, che fisserà la sua dimora sino alla fine della sua vita. Dalla Basilica della Natività si accede alla cosiddetta grotta di San Girolamo, un luogo santo nel quale si ricorda la figura di questo grande asceta, uomo sedotto delle Sacre Scritture. Iacopo da Varazze, nella Legenda Aurea, così descrive la sua vita devota nella città dove era nato il Salvatore: «Andò nella città di Betlemme, e simile a un animale domestico si dispose a stare presso la mangiatoia in cui fu posto Gesù» .
La sua produzione letteraria è tanto sconfinata quanto varia. Tra le opere da lui composte l’attenzione maggiore va certamente rivolta ai suoi studi sulla Bibbia, di cui è stato appassionato discepolo e instancabile traduttore e commentatore perché, come lui stesso ebbe modo di scrivere nel Prologo al Commento del Profeta Isaia, «Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo». A Girolamo si deve l’aver trasmesso, all’Occidente, la ricchezza delle biblioteche greche ed ebraiche , una lingua quest’ultima, che come lui stesso racconta, aveva imparato da un «fratello convertito dal giudaismo»:

«dopo le finezze di Quintiliano, l’eloquenza di Cicerone, la gravità di Frontone, e la soavità di Plinio, dovetti imparare un nuovo alfabeto e ripetere le parole stridenti ed aspirate. Non ti dico la faticaccia che mi costò e le difficoltà che dovetti affrontare! Ogni tanto mi disperavo, più volte mi arresi; ma poi riprendevo per l’ostinata decisione d’imparare. Ne sa qualcosa la mia coscienza (so io cosa ho patito!) e quella di coloro che vivevano con me. Ora ringrazio il Signore perché dal seme amaro di tali studi raccolgo frutti saporosi» .


Tra i suoi scritti, inoltre, vanno annoverate opere di erudizione e trattati polemici. Egli è autore di testi a carattere monastico come le vite di Paolo, Malco e Ilarione composte sul modello della vita di Antonio, scritta da Atanasio di Alessandria . A questa vasta e varia produzione vanno aggiunte le Lettere, anch’esse preziosissime perché ricche di informazioni sulla sua vita – comprese le sue amicizie e inimicizie (!) -, testi profondamente intrisi di citazioni bibliche, di riflessioni teologiche e di racconti straordinari della sua esperienza di uomo e di asceta.
Fu proclamato Dottore della Chiesa da Bonifacio VIII, insieme ai santi Gregorio Magno, Ambrogio e Agostino.
La Legenda Aurea, un testo inestimabile nel quale l’iconografia troverà materiale a cui ispirarsi, ne racconta la santità. È ad esempio nell’opera del frate domenicano che si tramanda la storia del leone che, una volta guarito dal Santo, si mise a servizio di Girolamo e del monastero, un animale che diverrà un attributo iconografico sempre ricorrente:

«Un giorno, verso il tramonto, mentre Gerolamo stava seduto coi confratelli per sentire la Sacra Scrittura, entrò all’improvviso nel monastero un leone che zoppicava: a quella vista gli altri monaci fuggirono, ma Gerolamo gli si fece incontro come a un ospite. Il leone gli mostrò la zampa che zoppicava, e Gerolamo allora convocò i confratelli e fece loro lavare le zampe al leone, cercando con cura la ferita. Quando i confratelli ebbero eseguito, trovarono che la zampa era ferita dalle spine. Lo medicarono e il leone guarì, e da quel momento divenne mansueto e visse con loro come un animale di casa. Gerolamo allora capì che il leone era stato mandato non tanto per il male che aveva alla zampa, quanto per utilità dei monaci».


L’iconografia di Girolamo, oltre a presentare – evidentemente – episodi legati alla sua vicenda agiografica, come quando ammansisce il leone o il momento della Santa Comunione, segue sostanzialmente due grandi schemi, che si richiamano a vicenda: egli è penitente nel deserto, raffigurato in quella spelonca che aveva eletto a romitorio, oppure è ritratto nel suo studio, chino sui libri, immerso nella riflessione . Talvolta i due schemi iconografici si fondono e Girolamo penitente nel deserto è occupato dal lavoro di studio, anch’esso inteso come opera di ascesi. Nella famosa lettera XXII scritta per la giovane Eustochio, figlia della matrona romana Paola e al pari di lei discepola di Girolamo, egli le raccomanda di applicarsi costantemente alla lettura delle scritture sante:

«Applicati sovente alla lettura. Il sonno ti sorprenda con un libro in mano: e una pagina santa accolga il tuo viso cadente» . Anche al sacerdote Nepoziano, nipote del vescovo Eliodoro, nella lettera a lui indirizzata, raccomanda l’assidua lettura delle Scritture: «Leggi molto frequentemente la divina Scrittura. Direi di più: mai le tue mani dovrebbero deporre il Testo sacro».


Girolamo penitente nel deserto è raffigurato come un anziano solitario, dall’aspetto ancora vigoroso nonostante le ripetute penitenze a cui costringeva il suo corpo. Egli è presentato nudo, solo un drappo gli cinge i fianchi, un panno che spesso è di colore rosso secondo la tradizione che lo riconosceva cardinale della Chiesa. Tra gli attributi iconografici più ricorrenti è il cappello cardinalizio, ad indicare gli onori di questa carica, che, generalmente, è posto ai suoi piedi, a dimostrare la rinuncia ad ogni gloria terrena. Quando non è raffigurato intento nello studio, egli è rappresentato con una pietra in mano mentre si percuote il petto, in segno di penitenza. Sovente, accanto a lui compare anche un teschio, ad indicare come la vanità di questo mondo è destinata a passare. Il suo sguardo, al contrario, è costantemente rivolto verso la croce di Cristo – elemento iconografico ricorrente – perché solo la croce è sapienza, come recita l’adagio paolino:

«La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio (…). Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? (…). Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» .


Il paesaggio nel quale è ambientata la scena di Girolamo penitente è solitamente arido, brullo, a richiamo di quel deserto nel quale il Santo si era rifugiato e che lui aveva ben rappresentato nei suoi scritti. C’è un passo nella lettera alla giovane Eustochio – un testo ripreso quasi letteralmente dalla Legenda Aurea -, nel quale egli descrive le sue privazioni:

«Quante, quante volte, pur abitando in questo sconfinato deserto bruciato da un sole torrido, in questa squallida dimora offerta ai monaci, credevo davvero d’essere nel mezzo della vita gaudente di Roma! Me ne stavo seduto tutto solo, coll’anima rigonfia d’amarezza. Il mio corpo, sfigurato dal sacco, faceva spavento; la pelle sporca e indurita (…). Lacrime e gemiti ogni giorno! Se, nonostante i miei sforzi, il sonno mi assaliva improvviso, ammaccavo le ossa tutte slogate, steso sulla nuda terra (…). Io dunque, si, proprio io che mi ero da solo inflitto una così dura prigione per timore dell’inferno, senz’altra compagnia che belve e scorpioni, sovente mi pareva di trovarmi tra fanciulle danzanti. Il volto era pallido per il digiuno, eppure, in un corpo ormai avvizzito, il pensiero ardeva di desiderio; dinanzi alla mente d’un uomo già morto nella carne, ribolliva l’incendio della passione. Privo d’aiuto, mi prostravo ai piedi di Gesù, li irroravo di lacrime, li asciugavo con i capelli, domavo la carne ribelle con settimane di digiuni. Non mi vergogno di confessare queste miserie; se mai, piango di non avere più il fervore d’una volta. Ricordo: frequentemente i miei gemiti congiungevano il giorno alla notte; non la smettevo di battermi il petto finché, per le minacce del Maestro, non era tornata la bonaccia. Anche la cella mi faceva spavento, quasi fosse complice dei pensieri impuri; irritato contro me stesso e inflessibile, avanzavo solo nel deserto. Se scoprivo una valle profonda o una montagna scoscesa o rocce a precipizio, là mi rifugiavo a pregare, là stabilivo l’ergastolo per la mia carne martoriata. Ma, il Signore mi è testimone: dopo pianti a non finire, dopo aver tenuto a lungo lo sguardo fisso al cielo, mi pareva talvolta di trovarmi fra le schiere degli angeli; allora, esultante di gioia, cantavo: «Ti correremo dietro, attratti dal profumo dei tuoi aromi».


Un secondo schema iconografico presenta san Girolamo raffigurato in uno studiolo, alle prese con gli studi biblici e il lavoro di scrittura, un’opera che come lui stesso ebbe a dire nelle sue lettere necessita «di una pila di libri, di silenzio, dell’attenzione dei copisti, e (…) della sicurezza e della tranquillità di chi li detta» . Numerosi sono i volumi che lo circondano, a mettere in evidenza la sua erudizione. Se anche in queste opere egli è raffigurato come un anziano, qui egli però veste un sontuoso abito; solenne e austero è lo sguardo. Sono ricorrenti, anche in questa seconda versione iconografica, il teschio, il cappello cardinalizio – spesso anche l’abito che indossa è rosso ad evocare l’alta dignità conferitagli -, e il leone che non di rado è rappresentato accucciato ai suoi piedi.
Iacopo da Varazze descrivendo la sua vita di studio a Betlemme ne ricorda l’intensità: «Lì passava la sua giornata in digiuni, sino a sera, leggendo e rileggendo tutti i suoi libri, che aveva tenuto scrupolosamente, oltre ad altri libri». E ancora: «Si impegnò per ben cinquantacinque anni e sei mesi nella traduzione della Sacra Scrittura».

Giovanni Gardini