La figura di San Rocco nella Basilica di San Francesco a Ravenna.
Nella Basilica di San Francesco, la prima cappella della navata destra partendo dall’altare, è luogo ricco di storia, arte e devozione[1]. L’iscrizione latina posta sulla parete sinistra, ricorda la munificenza di Camilla Dal Corno che nel 1532 fece erigere, a proprie spese, questa cappella dedicata al San Rocco[2]. Il maestoso frontone della Cappella è opera di Bernardino Saluteri da Como su disegno di Filippo Mariani, milanese[3].
Nella tavola dell’imolese Gaspare Sacchi, Camilla dal Corno è effigiata in abiti austeri, le mani sono giunte in preghiera, ai piedi di San Rocco che, guardandola, le mostra la ferita sulla gamba e al tempo stesso le indica il cielo[4].
La sacra conversazione, ambientata in un interno tanto solenne quanto indefinito, presenta su un alto basamento la Vergine mentre porge il seno al Bambino per allattarlo; accanto a lei sono due angeli musicanti mentre due putti recano una corona sul suo capo. Nella parte inferiore della pala sono San Rocco, al centro, tra San Francesco d’Assisi e San Sebastiano, tutti ben riconoscibili dai loro attributi iconografici: San Francesco veste il saio e mostra i segni delle stimmate, San Rocco veste da pellegrino, San Sebastiano, dal corpo trafitto da frecce, è legato a una colonna. San Rocco, che compare come figura centrale – a lui è dedicata la cappella – è unito da un profondo legame agli altri due santi con lui raffigurati: è collegato a San Sebastiano perché entrambi sono invocati contro la peste tanto che spesso Rocco lo sostituisce come protettore, ma al tempo stesso è ricordato insieme a San Francesco secondo una tradizione per cui San Rocco apparteneva al terz’ordine francescano, attestazione riportata da Paolo IV nel 1547 nella Bolla Cum a nobis. Se questa tradizione «non è attestata da nessun documento antico e rimane per lo meno dubbia», tuttavia, continua André Vauchez, «non impedì ai Francescani e ai Cappuccini d’essere i più ferventi propagatori del suo culto»[5].
Nella metà del xviii secolo, la Cappella fu interamente decorata da Andrea e Domenico Barbiani: una seconda lapide posta sulla parete ricorda i lavori eseguiti nel 1755[6]. Se la critica ha unanimemente attribuito ad Andrea Barbiani l’esecuzione degli affreschi – una voce fuori dal coro è di Luisa Faenzi che li attribuisce esclusivamente a Domenico – Giordano Viroli propende per una lettura che concilia queste due posizioni ricordando come Andrea e suo fratello Domenico spesso abbiano collaborato: «La prospettiva architettonica dipinta nella cupola, dove compaiono massivi elementi dell’ornato plastico articolati di mensole aggettanti e cornicioni gremiti di sgusci, volute, festoni, in analogia con le soluzioni dei celebri quadraturisti bolognesi, spetta sicuramente alla mano di Domenico. Dove si vedono figure, nella Gloria di San Rocco al centro della cupola, lì ha lavorato Andrea»[7].
Fulcro di tutto il programma iconografico è la gloria di San Rocco: egli compare attorniato da angeli, nella gloria del cielo. La veste bianca riservata agli eletti (Ap. 7, 13-15) è per Rocco il povero abito da pellegrino al quale si sovrappone un prezioso panneggio colore del sole. Il santo veste una verde tunica sulla quale è una corta mantellina che da lui prenderà il nome di sanrocchino sulla quale sono cucite due conchiglie, attributo iconografico dei pellegrini. Alla cintola porta una piccola fiaschetta, ai piedi calza i sandali; l’angelo alla sinistra del santo regge il bordone, il tipico bastone ferrato dei viandanti. Sulla coscia sinistra è una ferita che ricorda la peste, il morbo terribile che non risparmiò il santo; fu inoltre tra gli appestati che egli si contraddistinse nella sua opera misericordiosa verso i sofferenti. La figura di San Rocco va collocata alla metà del xiv secolo; nonostante egli sia stato uno dei santi taumaturghi più venerati tra la fine del XV secolo e l’inizio del XIX, una devozione che continua tutt’oggi, pochissime sono le notizie storiche al suo riguardo giunte sino a noi.
Sei medaglioni monocromi, quattro nei pennacchi e due nelle pareti laterali, evidenziano alcuni momenti salienti della vita del santo. Il primo ovale posto alla destra dell’altare mostra l’esordio della vita di San Rocco, il tempo in cui, rimasto orfano, vende i suoi beni, distribuisce tutti i suoi averi ai poveri e parte come pellegrino per Roma. Il secondo medaglione alla sinistra dell’altare mostra San Rocco tra gli appestati, i cui corpi straziati dal morbo giacciono ai suoi piedi; una donna seduta, stringe tra le braccia il suo bambino. Egli, già con gli abiti da pellegrino, è raffigurato in piedi, con la destra guarisce un malato, nella sinistra regge la croce, segno del conforto di Cristo, le cui ferite portano ristoro e salvezza: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti» (1 Pt 2, 24).
Nel terzo pennacchio San Rocco appare confortato dall’angelo, un’immagine che spesso è associata alla sua prigionia e ambientata in un carcere. Nell’ultimo riquadro è rappresentato il miracolo di Rocco nutrito dal cane, un animale quest’ultimo che è divenuto parte dell’iconografia canonica del santo.
Secondo la tradizione agiografica San Rocco, dopo essere stato a Roma, sulla via del ritorno contrasse il morbo della peste; si ritirò quindi nelle campagne, in un terreno di proprietà di Gottardo Pollastrelli e lì il cane di questo nobile signore lo nutriva, portandogli il pane. Il padrone, scopertolo – la pittura del Barbiani raffigura proprio questo momento – entrò in contatto con il Santo, un incontro che portò il Pollastrelli a una profonda conversione evangelica[8].
Nelle pareti laterali – pesantemente compromesse nella loro struttura decorativa – sono due ulteriori riquadri, fortunatamente leggibili nella loro iconografia. Entrambi gli affreschi puntano l’attenzione sulla permanenza di San Rocco a Roma: nel primo, alla sinistra dell’altare, si vede il Santo che guarisce un cardinale, nel secondo, a destra, San Rocco compare inginocchiato davanti al pontefice[9].
Giovanni Gardini
[1] Ringrazio sentitamente il parroco, Padre Germano Tognetti e la comunità dei francescani, per l’accoglienza e la disponibilità con la quale mi hanno permesso di studiare questa splendida cappella.
[2] «deo opt max divo q/ rocho sacellum a fundam erexit q/ dicavit sua impensa/ camilla dexptis a cornu rhaven/ m d xxxii». A Camilla Dal Corno si deve anche l’erezione di un altare nella prima cappella a destra del Duomo di Ravenna nel 1531, anno al quale risale il giuspatronato della famiglia Dal Corno; sull’altare del Duomo è posta una tela di Antonio Rossi raffigurante San Cristoforo: cf. G. Viroli, I dipinti d’altare della Diocesi di Ravenna, Banca Popolare pesarese e ravennate 1991, pp. 52-53; P. Uccellini, Dizionario Storico di Ravenna e altri luoghi di Romagna, nella Tipografia del Ven. Seminario Arciv. 1855, p. 127. Lo stemma della famiglia Dal Corno compare più volte all’interno della cappella, nel pavimento e nelle pareti laterali. Lo stemma della famiglia Dal Corno, è ben descritto dal Ginanni: «Dal Corno, famiglia di Ravenna, porta lo scudo di azzurro, con un corno da caccia d’argento, imboccato, e guernito d’oro, legato di rosso al punto del capo, accompagnato da tre stelle d’oro, una nel punto d’onore dentro la legatura, 2 in punta»; cf. M. A. Ginanni, Blasone di Ravenna e delle famiglie descritte alla nobiltà Ravennate, a cura della Libreria Antiquaria Tonini, Ravenna, 1983, Tav. XII e descrizione corrispondente. Nella parete destra è l’iscrizione che ricorda Ignazio Severo Dal Corno, morto nel 1725 e sepolto nella chiesa di Santa Maria in Coeloseo: «d o m/ ignatio a cornu patritio ravennati/patriae amantissimo/ integritate vitae aequabilitate animi prudentia/ caeterisque virtutibus florentissimo/ iuris consulto eximio et summo romanae curiae advocato/ cui parem ingenio gravitate doctrina in causis tractandis/ puritate sermonis simulque brevitate sententiarum et/ rationum delectu in scribendo/clientes iudices diu desiderent/ cui amplissimos honores/ ad quos consensione omnium aditum sibi iam fecerat/ agenti annum aetatis suae quinquagesimum nonum/ luctuosa suis acerba patriae gravis bonis omnibus/ mors praeripuit/ ravennae pridie nonas novembris/ anno dni mdccxxv/ alexander a cornu frater ioes bapta francus/ metropolitanae praepositus thaddaeus et alij/ fratris filij m m p p».
[3] Viroli 1991, pp. 172-173.
[4] Del Sacchi conosciamo poche opere e scarne sono le testimonianze che documentano la sua vicenda biografica; ai piedi di San Rocco è posta una iscrizione che ricorda la sua opera: gaspar saccus imolensis faciebat. Secondo Viroli quest’opera appartiene all’ultimo periodo del Sacchi; Viroli 1991, p. 172. La tavola purtroppo presenta diverse cadute di colore.
[5] A. Vauchez, Rocco, santo in Bibliotheca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII della Pontificia Università Lateranense, Vol. XI, Roma 1968, coll. 264-273. Come si accennava la cappella è dedicata a San Rocco, anche se l’iscrizione posta in altro sull’altare ricorda San Francesco: «d o m sancto francisco assisiensi».
[6] «d o m/in honorem divi rochi/fratres a cornu caroli octaviani filii/io baptista in urbe roma i c et sac consistor advocat/iulius bernardinus aedis ursianae cononicus/poludorus succentur offic in numeris austriacis functus/ camillus et thaddaeus camillae a cornu agnati/ pavimentum sacelli eiusd camillae sumptibus olim extructi/ elegantiori opere sternendum aram reficiendam/ fornicem nova pictura decorandum caetera in sacello/ expolienda atque exornanda curarunt a d mdcclv».
[7] G. Viroli, Gloria di San Rocco; quattro episodi della vita del Santo, scheda n. 77, in La bottega dei Barbiani. Due secoli d’arte a Ravenna a cura di N. Ceroni e G. Viroli, Ravenna, Longo Editore 1994, pp. 240-242.
[8] Stando a quanto scrive Vauchez, Gottardo Pollastrelli sarebbe l’autore di una Vita anonima del Santo, cf. Vauchez 1968, Col. 269.
[9] Si segnalano, presenti nella cappella, anche due statue moderne: a destra è quella che raffigura il santo francescano Massimiliano Maria Kolbe, a sinistra quella di San Francesco. Ricordo che quest’ultima, fino a pochi anni fa, si trovava nella prima cappella della navata destra dedicata al santo di Auschwitz, oggi occupata da un presepe permanente.