I Magi nell’iconografia ravennate
“Guarda o Padre, i doni della tua Chiesa, che ti offre non oro, incenso e mirra, ma colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo nostro Signore”.
Numerose, a Ravenna, sono le raffigurazioni dell’adorazione dei Magi e tutte seguono uno schema iconografico chiaro che affonda le sue radici nella primissima arte cristiana: Maria è seduta in trono, il Bambino sulle sue ginocchia è proteso in avanti. Spesso, in alto, è la stella, presenza discreta e luminosa. Davanti al Bambino sono tre Magi che a Lui offrono doni. Si possono fare numerosi confronti tra l’arte ravennate e altre raffigurazioni presenti; in questa sede basta accennare alle pitture nella Cappella greca all’interno della catacomba romana di Priscilla e ai Magi presenti sia nella cassa sia nel coperchio sul sarcofago di Adelfia rinvenuto alla fine del XIX secolo nelle catacombe di San Giovanni a Siracusa.
Nel Museo Arcivescovile di Ravenna l’adorazione dei Magi è presente nella Capsella dei Santi Quirico e Giulitta, un reliquiario di marmo databile alla prima metà del V secolo. Sempre all’interno del Museo la presenza dei Magi può essere ricordata nella Cattedra d’Avorio di Massimiano: in questo caso dobbiamo parlare di un’assenza, dato che la scena dell’adorazione dei Magi è mutila. Sulla fronte dello schienale ammiriamo la Vergine in trono, con il bambino, la stella, elementi importanti dello schema iconografico di questa scena ai quali anticamente andava affiancata la formella con i Magi che offrivano doni.
Nella Basilica di San Vitale la scena dell’adorazione dei Magi è presente nel mosaico presbiteriale e nel sarcofago dell’esarca Isacio: la fronte dell’urna marmorea mostra i magi vestiti in abiti orientali con in testa il berretto frigio. Dietro alla Vergine, in altro a sinistra, compare una stella a sei punte. Il corteo imperiale raffigurante Teodora e le sue ancelle deve essere guardato con grande attenzione: l’orlo della veste dell’imperatrice presenta i tre re, nella loro classica iconografia che li raffigura protesi in avanti, nel gesto dell’offerta. I magi, nei loro preziosi doni rimandano – come avremo modo di dire in seguito attraverso la lettura del Sermone di Pietro Crisologo – alla fede in Gesù, vero Dio e vero Uomo: Teodora, accusata di seguire correnti eretiche monofisite, attraverso i magi veniva così confermata nella fede ortodossa e a pieno titolo offre all’altare di Cristo il calice del vino, come Giustiniano, nel pannello musivo posto di fronte, porge l’offerta del pane.
La raffigurazione più importante dell’adorazione dei Magi compare nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo. Questa immagine, monumentale per le dimensioni e la preziosa tecnica del mosaico, merita una particolare attenzione in quanto è il risultato di due committenze diverse. Maria in trono con il Bambino, appartiene alla prima fase del mosaico, cioè all’epoca teodoriciana, quando nella Basilica veniva celebrato un culto ariano che non riconosceva la divinità del Cristo, i re Magi invece risalgono alla committenza dell’arcivescovo Agnello quando, morto il re Teoderico (526) e sconfitti i Goti (540), la basilica passò per editto imperiale alla Chiesa Ravennate. Il vescovo Agnello (556-569), fedele all’ortodossia e, come il suo predecessore Massimiano, in comunione con la chiesa di Roma intervenne sul primo registro di mosaico e lo epurò di quelle immagini che, si presume, erano troppo connotate sia dal punto di vista politico sia religioso e mise al loro posto le due straordinarie processioni dei santi e delle sante. La scena dei Magi, posti in apertura del corteo delle sante, veniva così a completare quello schema iconografico che accostava all’immagine della Vergine in trono i sapienti venuti dall’Oriente e ad illuminare il mosaico regale di Maria con Gesù posto sul suo grembo. La Vergine diventava a pieno titolo la Theotókos, la Madre di Dio, titolo cristologico formulato nel terzo Concilio Ecumenico, svoltosi ad Efeso del 431. Geniale fu l’arcivescovo Agnello, nella sua opera di teologo- committente, che seppe così manifestare pienamente il nuovo culto celebrato nella fede ortodossa, in chiara contrapposizione con l’eresia ariana.
Andrea Agnello, autore del Liber Pontificalis, ancora nel IX secolo ricorda l’intervento dell’arcivescovo Agnello:
“Dunque il beatissimo vescovo Agnello all’interno di questa città riconciliò la chiesa di S. Martino confessore [oggi conosciuta con il nome di Sant’Apollinare Nuovo], fondata dal re Teoderico e chiamata “Cielo d’oro”; decorò la tribuna e le due pareti con immagini musive di martiri e vergini che vanno in processione (…). Dunque potete vedere questo. Li, come ho detto, sono rappresentate due città. Da Ravenna, nella parte degli uomini, escono i martiri che vanno verso Cristo; da Classe le vergini procedono verso la santa vergine delle vergini; le precedono i magi che portano doni (…) infatti qui tre doni preziosi contengono in sé misteri divini, e cioè l’oro significa il potere regale, l’incenso la figura sacerdotale, la mirra la morte, per mostrare in tutto questo che è lui che ha preso su di sé le iniquità degli uomini, cioè Cristo…” (Dal Liber Pontificalis, traduzione a cura di M. Pierpaoli).
Vorrei concludere questa breve riflessione sull’iconografia dell’adorazione dei Magi con le parole che San Pietro Crisologo, vescovo ravennate nella prima metà del V secolo, ha pronunciato nel Sermone 160, quarto discorso sull’Epifania, affinché le sue parole poetiche, ricche di carità pastorale, ci guidino, in queste feste natalizie, all’incontro di Gesù, vero Dio e vero Uomo:
“Quantunque nello stesso mistero dell’incarnazione del Signore siano sempre apparsi chiari i segni della sua divinità, la solennità odierna in molti modi spiega e rivela tuttavia che Dio è venuto in un corpo umano, perché i mortali, avvolti sempre nell’oscurità, non perdano, per la loro ignoranza quello che meritarono di avere e di possedere per una grazia così preziosa. Infatti, Colui che volle nascere per noi non volle essere da noi ignorato; perciò si rivela così, affinchè il grande mistero della pietà non diventi una grande occasione di errore. Oggi il mago trovò vagiente nella culla Colui che cercava fulgido tra le stelle. Oggi il mago ammira luminoso nelle fasce quello che a lungo sopportava oscuro tra le stelle. Oggi il mago circonda di profondo stupore ciò che vede e dove: il cielo in terra, la terra in cielo; l’uomo in Dio, Dio nell’uomo; e vede racchiuso in un piccolissimo corpo chi non può essere contenuto da tutto il mondo. Perciò il mago, poiché non riesce a indagare e non può comprendere, subito adora. Vede, infatti, che non brillano così in cielo le stelle, la luna, il sole, come contempla che in terra era luminoso un corpo. Vede che in un unico e medesimo corpo si era dato convegno il rapporto tra la divinità e l’umanità. Costui, mentre lo crede Dio, lo riconosce re, comprende che dovrà morire per amore del genere umano, con pensiero timoroso considera come un Dio possa morire, in che modo possa essere ucciso il Restauratore della vita, e così il mago cessa di ricercare con l’arte ciò che con l’arte non può trovare. E poiché vede che con gli astri erranti ha errato a lungo nel cielo, il mago gode di essere giunto sulla terra a Dio sotto la guida di un’unica stella e capisce che tutte le cose che sembrano chiare in cielo agli occhi umani, sono oscurate da profondi misteri; e, ormai vedendo, con doni misteriosi confessa di credere e di non indagare: con l’incenso lo riconosce Dio, con l’oro re, con la mirra destinato a morire (…). Il mago vide Cristo e tese le mani (…) il mago, coi suo doni, aveva già confessato che Cristo era Dio. Ecco perché il pagano, che era l’ultimissimo, divenne il primo, perché allora dalla fede dei Magi fu consacrata la credulità dei pagani…”.
Giovanni Gardini