Vigili ferite
«O vigili ferite!
Son bocche? Sono occhi?
Sian bocche, siano occhi,
Ogni parte che sanguina provvede a qualche parte.
Ecco! Una bocca le cui labbra in fiore
A troppo alto prezzo sono rose».
Cristina Campo
Ci sono immagini che non si possono dimenticare, tale è lo sconcerto che esse provocano. Il Cristo crocifisso dipinto da Matthias Grünewald per l’Altare di Isenheim con la sua tragica corona di spine – spessa e irta foresta – che incessantemente lo umilia e gli tormenta il capo fino a lacerargli la carne ormai livida, è una di queste. Un corpo piagato, che è abisso di perdizione, e una corona di spine, dove regalità e farsa appaiono inesorabilmente unite, assurgono, paradossalmente, a orizzonte dal quale partire per comprendere appieno la portata vitale delle opere di Fabio Ricciardiello, pena il loro totale fraintendimento. Solo apparentemente Ricciardiello mette in scena uno spettacolo lezioso e rassicurante, dai tenui toni pastello. In realtà, la posta in gioco è alta, per se stesso, innanzitutto, e per lo spettatore al quale chiede, discretamente, di seguirlo in un viaggio intenso, intimo, coraggioso. Quello della vita. L’espressione scelta come titolo Life vest under your seat – il giubbotto di salvataggio è posizionato sotto al vostro sedile – se ironicamente, e scaramanticamente, rimanda all’attesa euforica e carica di tensione prima del decollo è, invece, questione da prendere seriamente perché tutti abbiamo bisogno di salvezza e di qualcuno che ci dica dove cercarla. Ricciardiello semplicemente lo suggerisce attraverso alcune opere – corone di spine, cuori sacri, un Cristo fiorito -, che seppur ispirate alla tradizione iconografica cristiana da essa si affrancano attraverso una rilettura originale e personalissima. Quella stessa devozione popolare che lungo i secoli ha suggerito e generato forme e immagini per esprimere la propria tensione al trascendente e per dare voce a una parola di supplica o di ringraziamento affiora, laicamente, nel gesto artistico di Ricciardiello con garbo e partecipata commozione.
Tre corone di spine, poste una accanto all’altra, si offrono allo sguardo, indicibilmente delicate e fragili e se l’intreccio dei rami è fitto e gli aculei sono esageratamente lunghi e acuminati – in questo ricordano Grünewald – in esse non c’è più nulla di minaccioso. Nella poetica di Ricciardiello la corona di spine non è più strumento di derisione e umiliazione e se inevitabilmente emerge questa tensione drammatica, il senso ultimo dell’opera immediatamente la supera perché non è la morte la parola definitiva, bensì la vita. Ed ecco, il miracolo: minuscole rose sbocciano dall’intrico vegetale, i ramoscelli aguzzi si rivestono di eleganti trine e su di essi si posano impalpabili farfalle prima di riprendere il loro silenzioso volo.
Attraverso tre enormi cuori sacri, smisurati ex voto, la riflessione dello spirito si fa, se possibile, ancora più profonda e la decorazione, che nelle corone di spine affiorava timidamente, qui esplode in tutta la sua sovrabbondanza. Le superfici, infatti, in una sorta d’ineluttabile horror vacui sono di volta in volta interamente rivestite di esuberanti e carnosi fiori che rimandano a stordenti profumi, di morbidissimi merletti, che verrebbe quasi voglia di accarezzare, o di farfalle. Le farfalle, le cui ali paiono petali e ad avvicinarsi troppo danno l’impressione che possano, da un momento all’altro, spiccare dolcemente il volo e disperdersi nell’aria, riempiendo il cielo con la loro aggraziata presenza e delicato colore. Due di loro, quasi a dire che tutto questo potrebbe davvero essere possibile, si sono posate sulla fiamma dell’amore divino come a nutrirsi dell’eterno nettare celeste.
E poi c’è il Cristo fiorito, sul quale posare più intensamente lo sguardo e davanti al quale sostare in silenzio, il cui corpo – non più smisuratamente percosso e devastato – è terra benedetta e feconda, giardino di Eden le cui porte sono state misericordiosamente riaperte e nel quale l’uomo può tornare a posare il suo piede incerto.
È lui l’albero della vita, il frutto più prezioso del quale nutrirsi, e le sue piaghe portatrici di guarigione – per le sue piaghe noi siamo stati guariti, aveva annunciato il profeta Isaia – ci vengono incontro come fragranza odorosa che consola, balsamo per l’anima.
Giovanni Gardini