Battisteri Ravennati

Battisteri ravennati, un confronto tra il Battistero Neoniano e il Battistero Ariano.
Battistero Ariano
L'iconografia del Battesimo nel Battistero Ariano

Battisteri ravennati: architettura, iconografia, liturgia

«Cristo entrò nel letto del Giordano per consacrare il nostro battesimo, per innalzare al cielo mediante la loro rinascita quanti aveva accolto in terra alla loro nascita». Pietro Crisologo, Sermone n. 167, 6

Ravenna, tra tutte le città del mondo tardoantico, custodisce, nella bellezza delle architetture e decorazioni musive, due battisteri, quello ortodosso, noto anche come battistero neoniano o della cattedrale, e quello ariano, straordinarie testimonianze della compresenza, tra V e VI secolo, di due tradizioni politiche, religiose, culturali[1].

Essi vanno letti in profonda unità con l’episcopio, centro della committenza e dell’azione liturgica del vescovo, e della cattedrale che offre al neofita il culmine della vita sacramentale nella celebrazione eucaristica[2]. Se il neoniano è posto lungo il fianco sinistro di quella che era l’antica basilica Ursiana, edificio di cui si conservano labili tracce a seguito della ricostruzione avvenuta nella prima metà del XVIII secolo, l’ariano è posto di fronte – spostato sulla destra – all’Anastasis Gothorum, meglio nota come basilica dello Spirito Santo.

Lungo i secoli questi due battisteri sono stati oggetto di numerosi interventi e se complessa è stata la vicenda conservativa del battistero neoniano, lo stesso può dirsi per quanto concerne l’ariano, un edificio che perse ben presto la sua funzione battesimale; dalle quote d’uso relative all’epoca antica alle strutture murarie, dagli antichi ingressi ai mosaici questi due straordinari monumenti, per come si presentano oggi al nostro sguardo, sono il frutto di numerosi e consistenti restauri, con una particolare attenzione ai secoli XIX e XX[3].

Per quanto concerne il neoniano sono da riconoscere due fasi edilizie, entrambe da collocarsi all’interno del V secolo. L’epoca della sua fondazione viene convenzionalmente attribuita all’episcopato di Orso (399-426), committente della cattedrale che, in suo onore, sarà detta Ursiana, sottolineando in questo modo l’unità del complesso episcopale che agli inizi del V secolo si stava edificando in concomitanza del trasferimento della corte imperiale di Onorio da Milano a Ravenna: «Costui per primo cominciò a costruire un tempio di Dio per raccogliere, come piissimo pastore, in un solo ovile il popolo che vagava in locali isolati (…). Dunque questo beatissimo presule edificò all’interno di questa città di Ravenna la sacra chiesa cattolica, dove tutti assiduamente accorriamo e che egli dal proprio nome chiamò Ursiana. Ai suoi tempi ne pose le fondamenta e con l’aiuto di Dio poté completarne la costruzione»[4].

All’episcopato di Neone (451 al 468c.), secondo la testimonianza del Liber Pontificalis ecclesiae ravennatis, risale il successivo innalzamento del battistero: «Decorò splendidamente il battistero della chiesa Ursiana: dispose i mosaici tutt’intorno alla volta con immagini e nomi degli apostoli di tessere dorate, rivestì le pareti di marmi diversi. Il suo nome è inciso negli elementi marmorei: “Cedi antico nome, cedi al nuovo, o antichità! Ecco risplende più bello il fasto del fonte rinnovato. Neone magnanimo e sommo sacerdote l’ha adornato, tutto disponendo con bell’ornamento»[5]. Al suo episcopato si fa risalire dunque la creazione della cupola, che andava a sostituire una copertura a capriate[6].

Tra i due battisteri, il neoniano fu quello che subì maggiormente il rialzamento delle quote pavimentali tanto che si perse memoria dei quattro antichi ingressi: alla fine del XVII secolo Giovanni Ciampini, in Vetera Monimenta, documentava una sola entrata ricavata nella muratura, posta in corrispondenza di uno degli antichi ingressi, quello in diretto collegamento con la cattedrale e solo due delle quattro absidiole[7]. Anche il battistero ariano subì una sorte simile e vide sopravvivere solo uno dei due antichi accessi. Non è dato di sapere come venissero utilizzati questi antichi ingressi, anche se possiamo suppore che avessero una loro funzione, forse simbolica oltre che funzionale, in merito alla liturgia battesimale[8]. Il battistero ariano, inoltre, era dotato di una struttura che cingeva esternamente il monumento lasciando tuttavia libera l’absidiola maggiore, un elemento architettonico interessante che è stato interpretato come deambulatorio, il cui uso tuttavia non è di immediata comprensione viste le sue esigue dimensioni che, in corrispondenza della sporgenza delle absidiole, doveva rendere difficoltoso persino il passaggio.

Entrambi i battisteri presentano una pianta ottagonale, i cui lati retti sono alternati da altrettante absidiole, più sporgenti nell’ariano; se nel neoniano queste non si differenziano per dimensioni, creando di fatto una struttura uniforme senza che esternamente o in pianta sia percepibile una particolare assialità – vista anche la perfetta scansione degli antichi ingressi -, nell’ariano la presenza di un’absidiola di maggiori dimensioni posta in asse con l’abside della Basilica dello Spirito Santo, crea con essa una chiara corrispondenza.

Notevolmente diverse sono le dimensioni dei due monumenti: nel neoniano il diametro interno è di «circa m. 12, 10 tra un angolo e un altro, di m. 11, 20 dal centro di un lato a un altro», quello dell’ariano «di m. 7, 50 tra un angolo e un altro , di m. 6, 90 dal centro di un lato a un altro» [9]. Anche dal punto di vista costruttivo vanno segnalate differenze; basti qui pensare alle due cupole: quella del battistero ortodosso è realizzata in tubi fittili e presenta, al centro, blocchetti di pietra pomice o lavica, l’altra è in mattoni.

Già queste considerazioni in merito all’architettura, qui appena accennate, ci portano ad affermare che questi due edifici, come già ampiamente è stato osservato, vanno considerati come due monumenti diversi e non l’uno la copia dell’altro, come in passato era stato sostenuto[10].

Anche dal punto di vista iconografico devono essere letti autonomamente e se numerosi sono i punti di contatto, vanno tuttavia segnalate alcune sostanziali differenze[11].

Un primo aspetto che troppo spesso è stato sottovalutato è la distanza qualitativa, da un punto di vista meramente estetico, tra i due monumenti che vede il neoniano distinguersi per superba maestria: confrontando i volti degli apostoli si riconoscono una competenza tecnica ed una sapienza artistica nettamente superiori. I mosaici dell’ariano risultano meno accurati anche rispetto a quelli dell’altro grande monumento di committenza ariana, la basilica di Sant’Apollinare Nuovo, il cui ciclo iconografico teodericiano mostra eccellenti capacità tecniche e compositive, basti pensare alla fascia mediana dove compaiono solenni i profeti i cui volti sono da considerarsi ritratti straordinari.

Volendo procedere secondo una lettura sinottica dei due monumenti va osservato, inoltre, che il fondo oro appare molto più esteso nel battistero ariano, dove riveste tutta la cupola; nel neoniano le tessere auree sono riservate al grande clipeo centrale, dove è la scena del battesimo di Cristo, mentre gli apostoli si stagliano su un fondo blu che avvicina il nostro monumento alle tonalità del cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia. Un’altra differenza riguarda il nimbo che è riservato esclusivamente agli apostoli del battistero ariano; se in questo monumento i loro movimenti appaiono rigidi come i panneggi delle loro tuniche, in quello ortodosso invece gli apostoli vestono morbide e sfumate vesti bianche con mantelli dorati in alternanza, suggerendo un’idea di solenne movimento[12].

In entrambi i contesti gli apostoli, disposti ad incorniciare la scena centrale, reggono le corone, tranne Pietro e Paolo del battistero ariano che portano rispettivamente le chiavi e il rotolo. Solo il battistero della cattedrale li identifica con le didascalie recanti il loro nome secondo quanto attribuito alla committenza del vescovo Neone, come attestato dal Liber Pontificalis: «Fontes Vrsianae ecclesiae pulcherrime decoravit; musiva et auratis tessellis apostolorum imagines et nomina camera circumfinxit, parietes promiscuis lapidibus cinxit»[13].

Pietro, Paolo e Andrea, in entrambi i monumenti, risultano riconoscibili anche per le loro caratteristiche iconografiche che nel V secolo risultano ormai codificate: Pietro è sempre raffigurato con barba e capelli corti e bianchi, Andrea è contraddistinto da una folta capigliatura e posto accanto al fratello. L’apostolo Paolo assume iconograficamente i caratteri del filosofo: il volto scavato è incorniciato da una folta barba scura. Egli è sempre considerato all’interno del gruppo dei dodici, pur non appartenendo al numero dei discepoli che Gesù aveva chiamato a sé[14].

Il clipeo centrale di entrambi i battisteri presenta la scena del battesimo di Cristo secondo una tipologia che trova la sua prima ispirazione nel racconto evangelico, un’iconografia che proprio a partire da Ravenna sarà replicata in numerosi contesti battesimali, secondo uno schema consolidato[15]. In questo confronto si può osservare come la disposizione di Giovanni Battista e del Giordano, nei due battisteri, sia speculare e che la rappresentazione antropomorfa del fiume è maggiormente esaltata nell’ariano dove compare a figura intera e di considerevoli proporzioni e non a mezzo busto. Molto si è scritto sull’acqua che sgorga dal becco della colomba nel battistero ariano, personificazione dello Spirito Santo; scrive al proposito Giovanni Montanari: «le osservazioni sul Cristo e sull’orientazione della sua figura nel Battistero degli Ariani come sul flusso di acqua che esce dal becco della Colomba, attengono più all’aspetto dogmatico che a quello liturgico»[16].

Altre considerazioni andrebbero fatte in merito alla nudità del Cristo, o al gesto di impositio manuum del Battista, tenendo conto anche dei discutibili restauri che hanno interessato le figure di Giovanni, del Cristo e della Colomba del neoniano; si vuole tuttavia riflettere su un altro aspetto, meno evidente, in merito all’orientamento dei due battisteri in rapporto all’iconografia[17].

Quando il vescovo Neone fece realizzare la grande cupola commissionandone lo straordinario ciclo iconografico certamente tenne conto, almeno per la prima fascia musiva, dei quattro ingressi ursiani. Il registro musivo inferiore, il cosiddetto registro del paradiso – esuberante di elementi vegetali organizzati entro ariose architetture e uccelli del cielo – presenta una rigorosa assialità rispetto all’impianto ottagonale, quindi agli ingressi e alle absidiole: se ai primi infatti corrispondono, nel mosaico della cupola, i quattro altari sui quali sono posti i libri dei vangeli (da Est Giovanni, Marco, Luca e Matteo), alle seconde corrispondono i quattro troni. Questo schema compositivo non prosegue fino al clipeo centrale, ma subito si interrompe, in corrispondenza del registro degli apostoli che, al pari della scena del Battesimo di Cristo, segue un nuovo orientamento. Guardando alla figura di Cristo posta nel clipeo centrale, immagine alla quale sono indirizzati i dodici apostoli, e ponendola in relazione con il resto della decorazione, si avverte l’intenzione, da parte della committenza, di creare una nuova assialità rispetto agli ingressi come già Mazzotti aveva intuito chiarendo come l’asse principale del battistero «è dato dalla posizione delle figure del disco centrale e corrisponde all’abside ove si trova l’altare ed a quella contrapposta»[18]. Si viene così a creare un orientamento nuovo, percepibile esclusivamente dall’interno del monumento, incentrato sulla figura di Cristo, orientata secondo la traiettoria Est-Ovest, in asse con la basilica ursiana. L’immagine di Cristo, così disposta, potrebbe suggerire una riflessione cristologica, antiariana: Gesù è Sole di giustizia, «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato della stessa sostanza del Padre», al quale tendono tutti coloro che sono stati chiamati, per grazia, a ricevere il Sacramento del Battesimo[19]. Rispetto a ciascuno dei quattro antichi ingressi, nessuno di questi si trova in asse con la figura di Cristo, una situazione che chiede al fedele, una volta entrato all’interno del monumento, un movimento di riposizionamento[20]. Muovendosi all’interno del battistero, con le spalle rivolte all’absidiola di occidente, il fedele contempla l’immagine del Signore, Eterna Luce, che si mostra in tutta la sua bellezza salvifica e ripercorre l’incedere solenne degli apostoli che, suddivisi in due gruppi rispettivamente guidati da Pietro e da Paolo, vanno verso Cristo-Oriente: «Dall’oriente – scrive Origene nelle omelie sul Levitico – ti arriva la propiziazione perché è di là che viene l’uomo il cui nome è Oriente, che è stato costituito mediatore tra Dio e gli uomini. Quindi, per questo sei invitato a rivolgerti sempre verso oriente, da dove si leva per te il Sole di Giustizia, da dove è nata per te la luce; affinché mai tu cammini nelle tenebre, e l’ultimo giorno non ti avvolga nelle tenebre; perché la notte e l’oscurità dell’ignoranza non ti prendano a tradimento, ma che incessantemente tu ti trovi nella luce della scienza, sempre tu abbia il grande giorno della fede, sempre tu ottenga la luce della carità e della pace»[21].

Nelle due absidiole che intercettano questa traiettoria, Est-Ovest, sono due iscrizioni veterotestamentarie, entrambe tratte dal libro dei Salmi, che esplicitano la grazia battesimale[22].

L’iscrizione di Oriente evidenzia un profondo legame con la liturgia battesimale nella sua dimensione penitenziale: «Beati coloro a cui sono rimesse le iniquità ed a cui sono tolti i peccati; beato colui a cui il Signore non imputa il peccato», mentre quella posta verso Occidente indica il senso profondo del Sacramento come promessa di vita beata nella grazia del Paradiso: «Il Signore mi ha condotto in un luogo di Pascolo: mi ha portato ad acque di refrigerio»[23]. Il tema dell’Eden paradisiaco, accoglienza nel grembo della Chiesa, attesa di vita nuova, trova in tutta la decorazione del neoniano la sua esplicitazione più ampia. Chi vi entra è immerso all’interno di un giardino fecondo, popolato di animali della terra e del cielo, realizzati in mosaico e in stucco, esuberante nei verdi luminosi delle piante e dei fiori, spazio armonioso, perfetto nella dimensione dell’ottagono simbolo di risurrezione[24]. Lo spazio del battistero ripropone dunque, in una dimensione esistenziale ed escatologica, la grazia originaria di Eden, quello spazio e quel tempo nel quale l’uomo e Dio camminavano alla brezza del pomeriggio (Gen 3, 8): «Tu, catecumeno, sei fuori dal paradiso, compagno di esilio del nostro Padre Adamo; ma ora si apre la porta; rientra da dove eri uscito, e non tardare», aveva scritto Gregorio di Nissa, annunciando nel Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto, una nuova ed inedita possibilità di incontro, nella misericordia del Padre e nella potenza dello Spirito Santo[25].

Le altre due iscrizioni, tratte da passi evangelici, sono presenti nelle restanti absidiole: la prima cita il passo matteano nel quale Pietro, al pari del neofita che chiede la grazia della misericordia, implora la salvezza per non essere travolto dalle acque, invocazione alla quale fa seguito la risposta potente di Cristo: «Gesù camminando sul mare porge la destra a Pietro che sprofonda: al comando del Signore cessò il vento»[26]. L’ultima iscrizione cita il vangelo di Giovanni, «Quando Gesù depose il mantello, mise acqua nella brocca e lavò i piedi ai discepoli», un versetto, questo, che evoca la prassi della lavanda dei piedi connessa alla liturgia battesimale, un rito che anche in Occidente conosce diverse attestazioni[27]. A Milano, ad esempio – città alla quale Ravenna è legata per ragioni storiche e politiche -, Ambrogio difende questa tradizione anche rispetto alla chiesa di Roma: «Sei risalito dal fonte. Che cosa è avvenuto poi? Hai ascoltato la lettura. Il vescovo, raccolte le vesti – infatti sebbene abbiano fatto altrettanto anche i sacerdoti, tuttavia l’inizio del rito è compiuto dal sommo sacerdote -, raccolte le vesti, ripeto, il sommo sacerdote ti ha lavato i piedi»[28].

Anche nel battistero ariano il mosaico della cupola risulta fuori asse rispetto agli ingressi, ma non rispetto all’absidiola maggiore e all’abside della Basilica dello Spirito Santo: chi entra all’interno del monumento è invitato a compiere un movimento verso il trono apocalittico sul quale è intronizzata la croce gemmata.

Nel battistero ariano l’iconografica del battesimo di Cristo – come già Montanari ha evidenziato –  presenta un orientamento opposto rispetto al battistero della cattedrale: l’incedere dei dodici apostoli, scandito da palme dattilifere,  è indirizzato verso l’etimasia e non verso la figura del Cristo[29]. Gesù non procede quindi da Oriente, ma all’Oriente è lui stesso indirizzato, una disposizione che parrebbe in contrapposizione con la cristologia del battistero neoniano, tuttavia coerente con la teologia ariana che non riconosce la divinità di Cristo.

Il battistero ortodosso conserva una decorazione più ampia rispetto a quello ariano che, oltre alla grandiosa cupola di epoca neoniana, abbraccia le pareti dell’ottagono. Tra le finestre, realizzati in stucco, sono sedici figure maschili, mentre otto, in mosaico, sono poste nell’attacco degli archi inferiori: tutte reggono tra le mani un codice o un rotolo, aperto o chiuso, che le identifica come custodi e testimoni delle Scritture[30]. Considerato il fatto che al di sopra di questi ventiquattro uomini togati sono i quattro libri dei Vangeli, posati sui rispettivi altari, si potrebbe ipotizzare di riconoscere in essi la presenza dei Profeti. Si avrebbero in questo modo rappresentati Antico e Nuovo Testamento che la Chiesa, da sempre, legge e interpreta in profonda unità secondo quella intuizione che ben ha riassunto Sant’Agostino: «Novum in Vetere latet, Vetus in Novo patet», il nuovo è nascosto nel vecchio, il vecchio si manifesta nel nuovo[31].

Una disposizione analoga si rintraccia nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo dove anche le trentadue figure poste nel registro mediano potrebbero essere interpretate come profeti veterotestamentari, sui quali splende la parola del Vangelo proclamata nello straordinario ciclo iconografico delle ventisei scene cristologiche.

Anche nella Basilica di San Vitale possiamo rintracciare lo stesso schema che accosta figure veterotestamentarie – Isaia, Geremia, Mosè, Abele, Melchisedek, Abramo, Sara, Isacco –  ai Vangeli rappresentati nel duplice aspetto della figura umana e del simbolo loro attribuito: l’angelo per Matteo, il leone per Marco, l’aquila per Giovanni e il toro per Luca[32].

Sopra i profeti in stucco si dispiega, all’interno di piccole nicchie, un interessante registro comprendente un ricco bestiario che si interrompe per accogliere quattro scene soteriologiche; dato il contesto in cui si trovano, possono essere interpretate come iconografie di salvezza legate alla potenza del Sacramento battesimale: Daniele nella fossa dei Leoni, la Traditio Legis, Cristo che calpesta il leone e il serpente, il profeta Giona.

L’iconografia di Daniele nella fossa dei leoni (Dn 6, 17-25; 14, 31-42) evoca, per il neofita, la potenza salvifica di Cristo nella misura in cui il profeta è stato letto come prefigurazione della sua Risurrezione: «Daniele, lo gettarono nella fossa dei leoni, ma fu salvato e ne risalì incolume; Gesù lo fecero discendere nella fossa della dimora dei morti, ma egli ne risalì e la morte non ebbe potere su di lui […]. Per Daniele fu chiusa la gola dei leoni, avidi e distruttori; per Gesù fu chiusa la gola della morte, avida e distruttrice di tutto ciò che ha forma» (Fig. 11)[33]. La scena della Traditio Legis, potrebbe richiamare la consegna del Credo, mentre il Cristo vincitore sulle potenze del male potrebbe rendere iconograficamente presenti i riti di esorcismo e la rinuncia a Satana seguita dalla professione di fede (Salmo 90, 13).

La vicenda del profeta Giona, già dalle pagine evangeliche (Mt 12, 39-40), è stata letta ed interpretata a partire dalla Risurrezione del Cristo, un’iconografia che richiama al mistero dell’acqua e al suo duplice significato di vita e di morte che il battezzando vive, simbolicamente e sacramentalmente, nell’esperienza della triplice immersione ed uscita dal fonte nella fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.

Giovanni Gardini

[1] Accogliendo la testimonianza del Liber Pontificalis ecclesiae ravennatis altri sarebbero i contesti battesimali sia ariani, sia ortodossi, presenti nell’area ravennate, un’indagine che porterebbe a valutare la questione della compresenza di più battisteri non necessariamente in riferimento a due tradizioni religiose, nel caso di Ravenna quella ortodossa e quella ariana. Nella Vita del vescovo Pietro Crisologo si parla di un battistero per la città di Classe, vicino alla Basilica Petriana: «Aedificavit hic beatissimus fontem in civitate Classis iuxta ecclesiam quae vocatur Petriana, quam Petrus antistes fundavit. Qui fons mirae magnitudinis, duplicibus muris et altis moenibus structis arithmeticae artis», D. Mauskopf Deliyannis (ed), «Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis», in Corpus Christianorum CXCIX, Cambridge 2006, p. 213. Nella Vita dell’arcivescovo Agnello, lo Storico ricorda, oltre al cosiddetto battistero degli ariani, un edificio battesimale connesso con la chiesa di San Martino, oggi conosciuta come Basilica di Sant’Apollinare Nuovo: «Fontesque beati Martini ecclesiae ipse reconciliavit et tessellis decoravit» Ibid., 256. Questi contesti, ricordati da Andrea Agnello, estremamente lacunosi dal punto di vista della documentazione archeologica, tuttavia permetterebbero di ampliare la riflessione sulla questione battesimale, intesa sia dal punto di vista della prassi architettonica e artistica sia liturgica. Al proposito si veda anche G. Montanari, Ravenna. L’iconologia. Saggi di interpretazione culturale e religiosa dei cicli musivi, Ravenna: Longo 2002, p. 108.

Si ringraziano l’Arcidiocesi di Ravenna-Cervia e il Museo Nazionale di Ravenna – Polo Museale dell’Emilia Romagna per aver autorizzato la pubblicazione delle immagini. Si ringraziano inoltre l’arch. Paolo Focaccia e Andrea Bernabini per avermi fornito immagini. Dove non indicato diversamente le foto sono dell’autore.

[2] Rispetto al contesto ariano, il complesso di episcopio, cattedrale e battistero ortodosso risulta più compatto e leggibile nonostante le vicende della prima metà del XVIII che hanno portato alla ricostruzione della cattedrale. Rimane un’ampia parte delle strutture dell’antico episcopio ortodosso che trovano nella Cappella Arcivescovile di Sant’Andrea la sua testimonianza più autorevole. I recenti lavori per la realizzazione della Cappella funeraria degli arcivescovi, inaugurata nel luglio del 2013, hanno interessato parte delle strutture dell’episcopio. Lo spazio che accoglie le sepolture e quelli annessi presentano strutture molto interessanti, ambienti che a seguito di ulteriori indagini e scavi potrebbero portare alla luce interessantissime scoperte.

[3] Ampia è la bibliografia in merito ai due monumenti che, tuttavia, sono stati studiati sostanzialmente in maniera autonoma l’uno dall’altro; il presente contributo vuole offrire una lettura sinottica dei due battisteri in merito ad alcuni temi iconografici. In merito alla storia dei due monumenti e dei restauri si citano le ultime pubblicazioni in merito e si rimanda alla bibliografia ivi contenuta. Per il battistero neoniano: A. Ranaldi, «Novitati cede vetustas. Note sulla forma architettonica e costruttiva del battistero Neoniano», in C. Muscolino –  A. Ranaldi –  C. Tedeschi (eds), Il battistero Neoniano. Uno sguardo attraverso il restauro, Ravenna: Longo 2011, pp. 9-32; G. Gardini, «L’esperienza della luce nei mosaici ravennati. Appunti sul battistero degli ortodossi», in J. Farabegoli – N. Valentini (eds), Architettura, arte e teologia. Il simbolismo della luce nello spazio liturgico, Verucchio: Pazzini 2013, 161-170. Per il battistero ariano: F. Fabbi, «Alessandro Ranuzzi e la tutela dei monumenti nella Ravenna di fine ‘800: il caso del Battistero degli Ariani», in Ravenna Studi e Ricerche, VII/2, Ravenna (2000), pp. 115-133; E. Penni Iacco, L’arianesimo nei mosaici di Ravenna, Ravenna: Longo 2011, pp. 63-68; si veda inoltre: Fabbi, Sul perduto Oratorio della Croce. Tracce della Ravenna scomparsa, Ravenna: Fernandel scientifica 2002. Sulle questioni architettoniche relative ad entrambi i battisteri si veda: O. Brandt, Battisteri oltre la pianta. Gli alzati di nove battisteri paleocristiani in Italia, Città del Vaticano: PIAC 2012, pp. 191-241, 242-271; E. Russo, L’architettura di Ravenna paleocristiana, Venezia: Istituto Veneto di Scienze 2003, pp. 9-23; 50-51; Fabbi, «Tipologie battisteriali nel litorale adriatico: il battistero degli ariani e il battistero degli ortodossi di Ravenna, tra premesse simboliche, archetipi architettonici e geometria», in M. Tagliaferri (ed), Architetture del sacro nel bacino adriatico. Figure, forme e liturgie della cristianizzazione ed evangelizzazione dal IV al XIII secolo, Bologna: EDB 2011, pp. 165- 198 più appendice iconografica.

[4] M. Pierpaoli (ed), Il libro di Agnello Istorico, Le vicende di Ravenna antica fra storia e realtà, Ravenna: Diamond Byte 1988, p. 45; «Iste primus hic initiavit templum construere Dei ut plebes christianorum, quae in singulis teguriis vagabat, in unum ovile piissimus collegeret pastor (…). Igitur aedificauit iste beatissimus praesul infra hanc ciuitatem Rauennae sanctam catholicam ecclesiam, quo omnes assidue concurrimus, quam de suo nomine Vrsiana nominavit. Ipse eam suis temporibus fundauit et, Deo iuvante, usque ad effectum perduxit», Mauskopf Deliyannis (ed), Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, 169. Per la cronotassi dei vescovi di Ravenna si veda G. Orioli, «Cronotassi dei vescovi di Ravenna», in Felix Ravenna, (1984/1985), 4. ser., n. 127/130 (1984/1985), pp. 323-332.

[5] Pierpaoli (ed), Il libro di Agnello Istorico, 50; «Fontes Vrsianae ecclesiae pulcherrime decoravit; musiva et auratis tessellis apostolorum imagines et nomina camera circumfinxit, parietes promiscuis lapidibus cinxit. Nomen ipsius lapideis descriptum est elementis: Cede, vetus nomen, novitati cede vetustas! Pulchrius ecce nitet renovati gloria Fontis. Magnanimus hunc namque Neon summusque sacerdos Excoluit, pulchro componens omnia cultu», Mauskopf Deliyannis, Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, 175. In merito all’iscrizione, oggi non più visibile, si veda C. Sangiorgi, Il battistero della Basilica Ursiana di Ravenna, Ravenna: Alighieri 1900, pp. 38-43.

[6] Cf. Brandt, Battisteri oltre la pianta. Gli alzati di nove battisteri paleocristiani in Italia, 203. Si veda anche: M. Mazzotti, «Il battistero della cattedrale di Ravenna. Problemi architettonici e vicende del monumento» in Corso di cultura sull’arte ravennate e bizantina, (1961), pp 255-278.

[7] G. Ciampini, Vetera Monimenta, Roma 1690-1699, Vol. I, Tav. LXIX. Per il neoniano, Ciampini documenta solo due delle quattro absidiole; Lanciani rinvenne i muri di fondazione delle due absidiole distrutte e provvide alla loro ricostruzione. Si tenga tuttavia presente che anche le due absidiole superstiti vennero notevolmente rimaneggiate nelle loro strutture murarie, cf. P. Novara, Storia delle scoperte archeologiche di Ravenna e Classe, i secoli XV-XIX, Ravenna: Danilo Montanari 1998, pp. 130-131; Novara, Considerazioni minime intorno al restauro ottocentesco delle absidiole del battistero metropolitano di Ravenna, in Studi Romagnoli, 47 (1996), pp. 561-570.

Entrambi gli edifici risultano interrati: per il Neoniano la quota d’uso relativa al V secolo si trova interrata di quasi tre metri sotto al piano di calpestio attuale, cf. Mazzotti, Il battistero della cattedrale di Ravenna. Problemi architettonici e vicende del monumento, 255. Il Battistero ariano risulta interrato di circa 2, 25 metri, cf. Brandt, Battisteri oltre la pianta. Gli alzati di nove battisteri paleocristiani in Italia, 242.

[8] Per quanto riguarda il neoniano sono state messe in luce, in più occasioni, labili tracce di un collegamento tra il battistero e la basilica Ursiana; esse tuttavia necessitano di ulteriori ricerche archeologiche e archivistiche; cf. Mazzotti, Il battistero della cattedrale di Ravenna. Problemi architettonici e vicende del monumento, 262-264.

[9] Brandt, Battisteri oltre la pianta. Gli alzati di nove battisteri paleocristiani in Italia, 193, 242.

[10] In merito al battistero ariano scrive Russo: «essendo slegato del tutto, al pari del battistero ursiano, dal supposto modello ambrosiano, sul piano architettonico è pure completamente diverso dall’edificio ursiano (…) il battistero ariano è a tutt’oggi un edificio enigmatico, là dove si cerchi di capirne radici e rapporto di sviluppo», Russo, L’architettura di Ravenna paleocristiana, 51.

[11] In merito ai restauri delle superfici musive si rimanda alle Tavole storiche di Corrado Ricci quale imprescindibile punto di partenza per ogni ulteriore considerazione: C. Ricci, Monumenti. Tavole storiche dei Mosaici di Ravenna, X-XIX, Battistero della Cattedrale, fascicolo II, Roma: R. Istituto d’archeologia e storia dell’arte – Istituto Poligrafico dello Stato 1931; Ricci, Monumenti. Tavole storiche dei Mosaici di Ravenna, XX, Battistero degli ariani, fascicolo III, Roma: R. Istituto d’archeologia e storia dell’arte – Istituto Poligrafico dello Stato 1932.

[12] Ad accentuare l’idea di movimento e la sensazione di leggerezza contribuisce anche una fila di tessere dorate posta sotto ai calzari degli apostoli.

[13] Mauskopf Deliyannis, Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, 175.

[14] La sua presenza tra gli apostoli mostra come l’arte cristiana non sia una semplice illustrazione del testo biblico, ma una rappresentazione più complessa legata all’interpretazione che la tradizione della chiesa di esso ha dato. Paolo non è mai presente negli elenchi che i vangeli stilano del gruppo dei dodici (Mt 10, 2-4), eppure compare nelle raffigurazioni del collegio apostolico in una posizione di onore, associato alla figura di Pietro. Il suo nome compare nel libro degli Atti degli Apostoli quando il Cristo Risorto lo chiama ad essere suo discepolo (At 9, 1-19); nelle lettere egli stesso si definisce apostolo, chiamato dal Signore: «Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana (cf. 1 Cor 15, 8-11)». Nel battistero neoniano anche Giovanni, oltre al nome, è chiaramente riconoscibile per le sue caratteristiche iconografiche: egli è raffigurato giovane e imberbe.

[15] Ravenna, nei suoi mosaici, costituisce, tra V e VI secolo, un interessantissimo “cantiere iconografico” dove si sperimentano nuove soluzioni; basti qui accennare allo straordinario mosaico della Basilica di Sant’Apollinare in Classe dove sono le immagini della trasfigurazione, rappresentata in una sintesi simbolica che non ha eguali e l’iconografia del Santo Protovescovo posta al centro del catino absidale.

[16] G. Montanari, Ravenna. L’iconologia. Saggi di interpretazione culturale e religiosa dei cicli musivi, Ravenna: Longo 2002, p. 130.

[17] Come è noto la parte centrale della cupola è il frutto di un restauro ottocentesco ad opera di Felice Kibel. Anche per questa scena va considerata la piena adesione allo schema iconografico del battesimo di Cristo, secondo quel modello ormai consolidato, come si evince dal confronto con opere coeve. In merito alla compresenza dei due riti battesimali, quello per immersione e quello per infusione, si veda C. Rizzardi, Il mosaico a Ravenna. Ideologia e arte, Bologna: Ante Quem 2011, pp. 69-80. Per la storia dei restauri, oltre alle già citate Tavole storiche si vedano i recenti contributi di F. Sarasini «La storiografia dei restauri musivi del Battistero Neoniano», pp. 27-92 e C. Antonellini, «Restauri ottocenteschi ai mosaici di Ravenna: gli interventi di Felice Kibel alla cupola del Battistero Neoniano», pp. 175-195 in Ravenna Studi e Ricerche, XVII, 2010, Fascc. 1-2 (gennaio –dicembre) e la bibliografia ivi citata.

[18] Cf. Mazzotti, Il battistero della cattedrale di Ravenna. Problemi architettonici e vicende del monumento, 260.

[19] DS 150.

[20] Un caso analogo riguarda il Mausoleo di Galla Placidia: la croce d’oro posta al centro del cielo stellato presenta una assialità in rapporto all’abside della Basilica di Santa Croce, monumento al quale il sacello era collegato, e non rispetto all’ingresso. Anche le figure degli apostoli, con una particolare attenzione a quelle di Pietro e di Paolo, sono ad essa orientate.

[21] «Ab oriente tibi propitiatio venit; inde est enim vir, cui Oriens nomen est, qui mediator Dei et hominum factus est. Invitaris ergo per hoc, ut ad orientem semper adspicias, unde tibi oritur Sol iustitiae, unde tibi lumen nascitur; ut numquam in tenebris ambules neque dies ille novissimus te in tenebris comprehendat; ne tibi ignorantiae nox et caligo subripiat, sed ut semper in scientiae luce verseris, semper habeas diem fidei, semper lumen caritatis et pacis obtineas», Origene, Omelie sul Levitico 10, 16-25, citato in R. Iorio (ed), Battesimo e battisteri, Firenze: Nardini 1993, p. 111.

[22] Queste iscrizioni sono state oggetto di numerose integrazioni; per il restauro si veda: Ricci, Monumenti. Tavole storiche dei Mosaici di Ravenna, X-XIX, Battistero della Cattedrale, fascicolo II, pp. 33-36, e TAV. XIV-XIX. Si veda inoltre: G. Cuscito, «Epigrafi di apparato nei battisteri paleocristiani d’Italia», in L’edificio battesimale in Italia. Aspetti e problemi. Atti dell’VIII congresso nazionale di archeologia cristiana, Bordighera: Istituto Studi Liguri 2001, pp. 457-458.

[23] «Beati quorum remissae sunt iniquitates/ et quorum tecta sunt peccata. /Beatus vir cui non imputavit Dominus peccatum», Sal 32 (31), 1-2; «In locum pascuae ibi me conlocavit/ super aquam refectionis edocavit me» (Sal 23, (22), 2).

[24] Per la figura dell’ottagono non possiamo non ricordare l’iscrizione ambrosiana posta nel Battistero di San Giovanni alle fonti: «Octachorum sanctos emplum surrexit in uxux/ octagonus fons est munere dignus eo/ Hoc numero decuit sacri baptismatis aulam/ surgere quo populis vera salus rediit/ luce resurgentis Christi qui claustra resolvit/ mortis et e tutulis suscitat exanimes/ confessosque resod maculoso crimine solvens/ fontis puriflui diluit inriguo (…)», «L’edificio a otto nicchie è costruito per gli usi sacri e il fonte ottagono è degno di questo dono. È stato opportuno che su questo numero sorgesse l’aula del sacro battesimo per il quale ai popoli è stata ridata la vera salvezza nella luce di Cristo risorgente, Egli che sciolse le barriere della morte e suscita dalle tombe gli esanimi, e, liberando quelli che si confessano peccatori da ogni colpevole macchia, li lava nella corrente del fonte purificatore», citato in Iorio, Battesimo e battisteri, 170-171.

[25] Gregorio di Nissa, PG 46, 417 C.; cf. per un approfondimento sul tema del battistero/giardino : V. Gatti, «Battesimo, mistero dell’acqua nella storia della Salvezza: le Scritture, i Padri, la liturgia» in A. Longhi (ed), L’architettura del Battistero. Storia e progetto, Milano: Longhi 2003, pp. 17-31. Nello stesso volume miscellaneo si veda anche il testo di Fabrizio Capanni in merito ai temi iconografici dei battisteri.

[26] «Ie(su)s ambula(n)s super mare Petro mergenti manum/ capit et iubente Domno ventus cessavit» (Mt 14, 26-33).

[27] «Ubi deposuit Ie(su)s vestimenta sua et misit aquam/ in pelvem et labit pedes discipulorum suorum» (Gv 13, 4-5).

[28] «Acendisti de fonte, quid secutum est? Audisti lectionem. Succinctus sacerdos – licet enim et presbyteri fecerint, tamen exordium ministerii a summo est sacerdote – succinctus, inquam, summus sacerdos pedes tibi lavit», Ambrogio, Opere dogmatiche III. Spiegazione del credo, i sacramenti, i misteri, la penitenza, Roma 1982, III, 1, 1.4-5, pp. 74-77.

[29] Cf. Montanari, Ravenna. L’iconologia. Saggi di interpretazione culturale e religiosa dei cicli musivi, 123;  Montanari, Mosaico, culto, cultura. La cultura religiosa nei mosaici delle basiliche ravennati, Ravenna 2000, p. 72. Un’interessante interpretazione in merito al trono è offerta da Fabrizio Bisconti:«Rispetto al tondo centrale che racconta, in codice trinitario, il battesimo del Cristo, la fascia apostolica risulta autonoma e conchiusa verso il cumulo simbolico trono-cuscino-croce che, se per un verso, può anche sintetizzare la fascia con troni ed altari del neoniano, dall’altro, può, invece, rappresentare non solo il trono apocalittico dell’etimasia –come, più volte, si è congetturato – ma un’allusione multipla e dunque multisegnica del Cristo sofferente, del Cristo uomo, del Cristo visto dal fronte ariano. Questa linea interpretativa offrirebbe l’unico elemento discriminante e caratteristico della decorazione del battistero degli ariani rispetto al programma ortodosso, sicuramente più allineato, (…), alla cultura artistica corrente»: F. Bisconti, «L’iconografia dei battisteri paleocristiani in Italia», in L’edificio battesimale in Italia. Aspetti e problemi. Atti dell’VIII congresso nazionale di archeologia cristiana, Bordighera: Istituto Studi Liguri 2001, p. 423.

[30] L. Pasquini, La decorazione a stucco in Italia fra tardo antico e alto medioevo, Ravenna: Longo 2002, pp. 26-37. Alle pp. 37-38 si accenna ai frammenti di stucco relativi al battistero ariano.

[31] Agostino, Quaestiones in Heptateucum, 2, 73, PL 34, 623.

[32] La stessa disposizione, giusto per citare un esempio oltre Ravenna, si ha nelle miniature del codice purpureo di Rossano calabro dove alle scene cristologiche sono connessi passi veterotestamentari.

[33] Afraate, Esposizioni 21, 18 citato in M. Dulaey, I simboli cristiani. Catechesi e Bibbia (I-VI secolo), Milano: San Paolo 2004, p. 132.

Il testo con le immagini è scaricabile dal seguente PDF: BATTISTERI RAVENNATI

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