Le lamine argentee di Sant’Apollinare. Tesori in mostra dall’Archivio Storico Diocesano

Tra le meraviglie custodite all’interno dell’Archivio Storico Diocesano, meritano particolare attenzione tre lamine argentee, testimonianze importantissime legate al culto di Sant’Apollinare. Queste tre preziose lamine sono note alla storia degli studi dal 1173, anno in cui il pontefice Alessandro III intervenne per dirimere la questione relativa al luogo di sepoltura del Santo sorta tra i monaci camaldolesi presenti nella basilica di Sant’Apollinare in Classe ed i monaci presenti in città nella basilica di Sant’Apollinare Nuovo: quest’ultimi affermavano infatti di essere loro i custodi delle sante reliquie del primo vescovo ravennate. Rintracciata nella cripta della basilica classense la sepoltura del protovescovo e aperto il sarcofago, il legato papale Ildebrando Crasso, il cardinale Teodino e l’arcivescovo di Ravenna rinvennero, insieme al corpo del Santo, le tre lamine argentee che rafforzavano quindi la veridicità della sua sepoltura. Un’eco di questa polemica era già presente nella Vita del Beato Romualdo composta da San Pier Damiani, nel passo relativo alla vocazione del santo fondatore dell’ordine camaldolese. Pier Damiani, dopo aver descritto lo splendore che accompagnava le apparizioni del Santo protovescovo che usciva dall’altare dedicato alla Beata Vergine Maria posto al centro della chiesa, infatti chiosa: «Anni dopo, quando capitava una discussione sul corpo di quel Martire [Apollinare], Romualdo affermava risoluto che si trovava deposto in quella chiesa e per tutta la vita non cessò di presentare la sua testimonianza». Delle tre lamine parla anche il Liber Pontificalis Ravennatis nella Vita del vescovo Mauro (642-671) al quale si attribuiva sia il trasferimento della sepoltura di Apollinare dall’ardica al centro della basilica classense, sia l’ordine di incidere in lamine d’argento la storia del martire. Gli studiosi del Liber Pontificalis, tuttavia, ritengono che queste informazioni non siano coeve alla stesura del testo, cioè al IX secolo, ma siano da riconoscersi come un’aggiunta entrata a far parte del testo nelle sue redazioni successive. La prima lamina (2,8 x 9,2/9,3 cm) datata alla fine del IX secolo, ricorda la sepoltura di Apollinare e presenta il testo latino preceduto da una croce: «+ Hic requiescit sacratissimum corpus beatissimi Apolenaris sacerdotis et martiris Xristi quod vero hic deest in hac eadem ecclesia ob maximam cautelam optime reconditum est». La seconda lamina (20, 7 x 8, 5 cm) ritenuta insieme alla terza opera del X secolo – anche se c’è chi l’ha datata anche ad epoca successiva – entra nel vivo della vicenda agiografica del Santo ricordando la sua origine antiochiena, il suo invio a Ravenna ed i miracoli da lui compiuti. Anche in questa lamina il testo è preceduto da una piccola croce: «+ Ortus ab Antiochia beatus Apolenaris a summo apostolorum principe Ravennam missus est predicare baptismum penitencie in remissionem peccatorum ibique per eum dominus virtutes multas operatus est nam cecos illuminavit, paraliticos curavit, multos loqui fecit, demones fugavit, mortuos suscitavit, leprosos mundavit, simulacra et ydolorum templa dissolvit». La terza lamina, dal punto di vista conservativo, è quella che presenta maggiori lacune. Il testo perduto praticamente per intero, ad eccezione di un piccolo frammento rintracciabile nel margine sinistro in alto, è tuttavia noto grazie alla sua trascrizione riportata in un documento custodito presso l’Archivio di Stato di Ravenna. Il testo si presenta come la continuazione di quello scritto nella lamina precedente e tratta delle percosse subite dal Santo e del suo martirio: «Hic fustibus cesus est diutius super pruna stetit nudis pedibus equleo appensus denuo verberatus super plagas aquam recepit fervidam cum gravi pondere ferri in exilium religatus ore saxo contuso defunctus est sub Vespasiano Cesare Augusto Kalendarum Augustarum regnante domino Ihesu Xristo cum Patre et Spiritu Sancto in secula seculorum Amen». Queste tre lamine per secoli sono state unite alle reliquie del Santo ed è solo a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, come afferma Mazzotti, che esse sono custodite all’interno dell’Archivio Storico Diocesano (conosciuto come Archivio Arcivescovile all’epoca in cui Mazzotti scrive). Nel 1951, infatti, il Mazzotti ha potuto esaminarle, studiarle, fotografarle per il «benevolo interessamento dell’Em.mo card. G. Lercaro» arcivescovo di Ravenna. Questa informazione ci porta a supporre come a due anni dall’apertura della sepoltura del santo, avvenuta nel 1949 ad opera del cardinal Lercaro ricorrendo il XIV° centenario della consacrazione della basilica classense ed il 75° anno dopo il XVIII° centenario del martirio del protovescovo, sia stata riaperta l’urna delle reliquie di Sant’Apollinare per estrarre le tre lamine. Nel verbale del 14 maggio 1949, redatto dallo stesso Mazzotti in quanto Custode delle Sante Reliquie, leggiamo come le lamine siano state riposte nell’urna contenente i resti mortali del Santo: «Sul fondo della cassetta plumbea, contenuta in quella di legno, vengon deposte dapprima le tre antiche lamine d’argento, poi le Sante Ossa, che vengon ravvolte nel drappo di seta color rosso sbiadito». L’unico oggetto che non è ricollocato all’interno dell’urna è «la cassettina di zinco, contenente le opere di Mons. David Farabulini, che sarà depositata presso l’archivio arcivescovile». La cassetta di zinco è tutt’ora presso l’Archivio Storico Diocesano e, a suo modo, è una testimonianza del XVIII° anniversario del martirio di Apollinare, celebrato con solennità nel 1874, ricorrenza per la quale il Farabulini, sacerdote della chiesa di Ravenna, scrisse la Storia della vita e del culto di Sant’Apollinare, un testo importante anche se per alcuni passaggi superato. Sul piccolo contenitore è inciso il seguente testo: «Apollinari aemiliae patri et pastori vetustatis monumenta dedicat et ad sacros cineres apponit David Farabulinus sacerdos ravennas solemnibus saeculi XVIII a martyrio». Mons. Mazzotti nel suo studio sulla basilica classense edito nel 1954 dal Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, all’interno del capitolo dedicato alle reliquie del santo, ricorda presente presso l’Archivio Storico Diocesano, oltre alle tre lamine argentee, una piccola lastra di piombo (cm 14 x 12, 5) proveniente dalla basilica di Sant’Apollinare Nuovo: essa risale al XII secolo, all’epoca cioè della disputa relativa alla custodia delle reliquie del protovescovo, e costituisce un falso creato dai monaci della basilica urbana per affermare la presenza del Santo nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo. Il testo, preceduto da una piccola croce, ricorda la presenza delle reliquie all’interno della basilica urbana: «+ In hoc sarcofago reqesit corpus beatissimi et sacratissimi Apolenaris martiris Cristi collocatum a Iohanne archiepiscopo». Mazzotti accenna come «l’incisore si è sforzato d’eseguire lettere che dessero la parvenza di maggior antichità: regolari, quadrate, ma… si è lasciato sfuggire qualche lettera traditrice». Tra le opere esposte in mostra, oltre alle tre lamine ricordate, vi è un altro riferimento a Sant’Apollinare, la parte superiore di un manifesto, realizzato da G. Minguzzi, che riunisce in una sorta di collages immagini ravennati tratte dai mosaici e dalla scultura bizantina, documento che è stato già egregiamente commentato dalla studiosa Elisabetta Gulli Grigioni nella sua rubrica d’iconografia edita per il RisVeglio Duemila. Questo manifesto, di cui è esposta solo la parte pittorica, non è stato pensato per celebrazioni legate al Santo Patrono bensì per il Congresso Eucaristico Regionale svoltosi a Ravenna dal 14 al 18 maggio 1930: Apollinare, raffigurato secondo l’iconografia presente nel catino absidale della basilica classense, è accostato a un altare, ispirato a quello posto al centro della basilica, sul quale è una tovaglia liturgica, copiata dal mosaico raffigurante il sacrificio di Melkisedek in Sant’Apollinare in Classe, e simile al mosaico nella lunetta di San Vitale. Fulcro di tutta la composizione sono le specie eucaristiche, il Sangue di Cristo nel calice gemmato e il suo Corpo nell’ostia splendente come il sole. Queste importanti testimonianze cultuali, in particolare le tre lamine argentee e la lastra plumbea, si auspica possano trovare una collocazione definitiva all’interno delle Collezioni del Museo Arcivescovile di Ravenna.

Prof. Giovanni Gardini

Consulente per i Beni Culturali della Diocesi di Ravenna

ARTICOLO CON IMMAGINI: Risveglio- n_34 pag 5

Lamine-colore

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