LE CHIROTECHE DI RINALDO DA CONCOREZZO, Tesori in mostra dall’Archivio Arcivescovile

Più di un secolo è trascorso dal 1908, anno in cui, la Soprintendenza ai monumenti – sollecitata da Corrado Ricci – chiese di rimuovere, assieme al sarcofago di San Barbaziano, quello del Beato Rinaldo, entrambi addossati lungo le pareti laterali della Cappella della Madonna del Sudore del Duomo di Ravenna, per poterne studiare le parti postiche. Oltre ad essi ci si interessò anche al sarcofago di Pietro peccatore incastonato nella muratura di Santa Maria in Porto Fuori. Fu in questa occasione che l’arcivescovo Pasquale Morganti decise di effettuare la ricognizione canonica dei corpi venerati. I sarcofagi, ammirati per la loro bellezza, riservarono, alla loro apertura, non poche soprese: oltre alle sante reliquie, al loro interno furono rinvenuti preziosi frammenti di abiti liturgici, reliquiari e documenti, testimonianze tutte importantissime.
Il Beato Rinaldo da Concorrezzo, fu arcivescovo di Ravenna dal 19 novembre 1303 al 18 agosto 1321: alla sua morte fu riutilizzato per la sua sepoltura un antico sarcofago datato alla prima metà del V secolo. Fino al 1908 di questo sarcofago erano visibili esclusivamente la fronte ed i fianchi, essendo stato addossato alla parete sinistra della Cappella seicentesca della Madonna del Sudore nel Duomo di Ravenna. La parte anteriore, in particolare, era stata studiata per la sua particolare iconografia che presenta il Cristo tra i principi degli apostoli non in una classica scena di traditio legis, ma in una composizione più complessa, dove il Cristo è assiso su un trono sotto al quale scorrono i quattro fiumi del paradiso, all’interno di uno scenario apocalittico evocato dalle ampie nubi sullo sfondo.
La ricognizione effettuata dall’Arcivescovo Morganti nell’aprile del 1908 è stata l’ultima di una serie di verifiche della sepoltura venerata. La prima ricognizione avvenne sotto l’episcopato di Giulio Feltrio della Rovere (1566-1578): Girolamo Rossi nelle Historiarum Ravennatum riporta le parole dell’arcivescovo che ricordava di aver visto il corpo «integro e quasi come recente, con barba lunga, di alta statura, di aspetto nobile e veramente dignitoso». A questa, seguì la ricognizione del Cardinale Pietro Aldobrandini (1604-1621), poi quella del Cardinale Luigi Capponi (1621-1645), il quale raccolse le spoglie mortali del beato Rinaldo in una cassetta lignea dopo che l’acqua, durante l’inondazione del 1636, raggiungendo una considerevole altezza, entrò nel sarcofago compromettendo l’integrità della sepoltura.
Prima del Morganti, l’ultimo a compiere una ricognizione canonica, fu l’arcivescovo Luca Torreggiani (1645-1669), nipote del Cardinale Capponi, il quale fece trasferire il sarcofago e le spoglie del beato Rinaldo all’interno della Cappella della Madonna del Sudore che in quello stesso anno, il 1659, veniva consacrata. Un’iscrizione in lingua latina, tutt’ora visibile nella cappella sopra all’urna, fu posta a ricordo. L’ubicazione degli antichi sarcofagi, quello del Beato Rinaldo e quello di San Barbaziano, portava lustro alla cappella e ne completava il processo di monumentalizzazione.
Quando il 28 aprile 1908, scoperchiato il sarcofago, si aprì la cassetta di quercia che Torreggiani aveva posto nel sarcofago e furono rotti i sigilli della cassa di piombo al suo interno, si videro le ossa del santo alle quali era unito, come ricorda il Muratori, «un ammasso di stoffe che furon tratte fuori a brandelli».
Il Diario delle Sacre Funzioni dal giorno 8 settembre 1901 alli 31 Decembre 1909, presente nell’Archivio Storico Diocesano di Ravenna, riporta una precisa descrizione dell’evento. Il Canonico don Cesare Uberti, custode delle reliquie, redasse il testo di quanto si vide nella cassetta plumbea posta all’interno della teca lignea. Dopo aver stilato un minuzioso elenco del numero e del tipo di ossa rinvenute, descrisse quanto fu trovato, oltre alle reliquie ossee, all’interno del reliquiario: le suole dei sandali del santo, le chiroteche (guanti liturgici), due piccoli cristalli di rocca, uno dei quali inciso con la rappresentazione dei protoparenti e brandelli di stoffe liturgiche. In appendice al Diario delle Sacre Funzioni, furono riportate alcune fotografie e il disegno, in scala 1/1 di quanto trovato. Santi Muratori ricorda che «si vide un ammasso di stoffe che furon tratte fuori a brandelli, e nelle quali si riconobbero i sacri paludamenti di Rainaldo, scoloriti e danneggiati […] striminziti e pesti dalla compressione e anche nelle parti più integre chiazzati qua e là di macchie diffuse».
Nei frammenti di stoffa furono riconosciuti gli abiti vescovili con i quali Rinaldo fu inumato: essi sono documenti importantissimi, data la loro antichità, di vesti liturgiche dei primi anni del XIV secolo. Una parte di vesti, ricomposta, fu collocata in una teca di cristallo, visibile all’interno dell’Archivio Storico Diocesano di Ravenna. La stoffa di maggiore interesse, nonostante il precario stato di conservazione, era la casula: una volta restaurata, essa trovò spazio all’interno delle collezioni del Museo Arcivescovile dove ancora si può ammirare. Nel nuovo allestimento del 2010 essa è posta al secondo piano, nella Sala II B, detta Sala delle pianete.

Le chiroteche
All’interno del sarcofago, come accennato, furono trovate le chiroteche episcopali in maglia. Esse recano dei ricami policromi molto rovinati, ma soprattutto sono caratterizzate dalla presenza di due medaglioni dal fondo dorato sui quali, decorati a smalto, sono rappresentati il Cristo Pantocrator e San Giovanni Evangelista. Essi furono ritrovati divisi dalle chiroteche, ma furono riferiti ad esse grazie all’impronta che vi avevano lasciata sopra: «Uguali le dimensioni, corrispondenti i punti d’attaccatura ancor visibili sulle borchie e sui guanti, esattissima l’impronta lasciata sul tessuto a maglia: v’è perfino, affisso a questa, un appiccagnolo», ebbe a scrivere Muratori.
La chiroteca sinistra reca un clipeo sul quale, in smalto, è rappresentata la figura di Cristo dal volto barbato: egli veste una tunica rossa ricoperta da un manto blu, nella mano sinistra regge un codice gemmato, con la destra benedice. Il capo è cinto da un clipeo crucisegnato dal fondo verde e bordato di rosso sul quale sono, incise e smaltate di rosso, le lettere greche IC XC.
All’interno del clipeo posto sulla chiroteca destra, è rappresentata l’immagine di Giovanni evangelista dal volto giovanile e imberbe: il capo è cinto da un clipeo uguale nei colori a quello del Cristo, veste una tunica verde e un manto blu, nelle mani regge un codice gemmato. Questo clipeo, a differenza dell’altro, presenta diverse lacune. Inizialmente esso era stato interpretato erroneamente e confuso con l’iconografia della Vergine: il Muratori aveva riferito questa ipotesi, senza tuttavia riuscire a conciliare l’iconografia della Vergine con i monogrammi in smalto accanto alla figura. In seguito Piero Piccinini, ipotizzò, giustamente, si trattasse dell’evangelista Giovanni.

Il cristallo di rocca
Durante la ricognizione, come già accennato, furono ritrovati tra le antiche stoffe due piccoli cristalli di rocca di forma ovale (mm 16 x 11), di cui uno inciso con la raffigurazione dei protoparenti, l’altro liscio che, probabilmente, serviva a custodire l’incisione del primo. Questi piccoli cristalli sono stati erroneamente interpretati come un sigillo anulare.
L’iconografia del cristallo inciso è molto particolare. Adamo è raffigurato di profilo, nudo, con il braccio sinistro proteso verso Eva: con la mano ne tocca il corpo; l’indice della mano destra è levato al cielo. Il volto di Adamo rivolto verso la donna e l’espressione della bocca, rappresentata aperta, rimandano all’atto del parlare e portano ad identificare la scena come l’accusa di Adamo nei confronti della donna. Eva è raffigurata frontalmente, intenta a coprirsi le nudità con le mani: i lunghi capelli sono sciolti sulle spalle. Desta meraviglia l’assenza sia dell’albero sia del serpente e, se è difficile sostenere con il Muratori che questa scena sia un unicum ravennate, certamente possiamo affermare che siamo davanti ad una immagine singolare.
Queste importanti testimonianze liturgiche, iconografiche e artistiche, ora in parte esposte nella mostra in Sant’Apollinare Nuovo, si auspica un giorno possano trovare una collocazione definitiva all’interno delle Collezioni del Museo Arcivescovile, ed essere così riunite alla preziosa casula del beato Rinaldo.

Prof. Giovanni Gardini
Consulente per i Beni Culturali della Diocesi di Ravenna-Cervia
giovannigardini.ravenna@gmail.com

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