La vita del Santo Protovescovo nelle pitture di Sant’Apollinare Nuovo
alla luce della Passio di Sant’Apollinare
La moderna abside della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo presenta una serie di immagini legate alla figura di Apollinare, primo vescovo della chiesa ravennate, venerato come Patrono della regione ecclesiatica Emilia-Romagna. Dietro all’imponente altare si intravvede la pala di Giacomo Anziani (1681-1733) che raffigura la missione petrina di Sant’Apollinare. La grande tela, realizzata prima del 1732, presenta l’apostolo Pietro nell’atto di inviare a Ravenna Apollinare, qui raffigurato inginocchiato ai suoi piedi, obbediente nell’accogliere la missione divina, mentre lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, conferma la scelta. Sullo sfondo è la città di Ravenna, luogo principale della missione di Apollinare. I due santi sono riconoscibili grazie ai loro attributi iconografici: Pietro regge le chiavi, ai piedi di Apollinare sono posti la mitria e il pastorale, segni della sua dignità episcopale. L’intera scena è illuminata dal testo della Passio di Sant’Apollinare che lega alla figura di Pietro, e alla chiesa romana, la missione del santo protovescovo ravennate: «Il beato Pietro disse al suo discepolo Apollinare: “Tu che siedi con noi, ecco che sei istruito su tutto quello che ha fatto Gesù. Alzati e ricevi lo Spirito Santo e nello stesso tempo il pontificato, e recati nella città che si chiama Ravenna. C’è là un popolo numeroso. Predica a essi il nome di Gesù e non aver paura. Infatti tu sai bene chi sia veramente il Figlio di Dio che restituì la vita ai morti e porse la medicina agli ammalati”. E dopo molte parole il beato apostolo Pietro, pronunciando una preghiera e ponendo la mano sul suo capo, disse: “Il Signore nostro Gesù Cristo mandi il suo angelo che prepari la tua strada e ti conceda quanto avrai chiesto”. E baciandolo lo congedò” (i brani della Passio citati seguono la traduzione a cura di M. Pierpaoli).
Alla pala di Anziani si collega, anche se realizzato in un secondo momento, un ciclo iconografico di affreschi incentrato sulla vita del protovescovo, suddiviso in otto riquadri realizzati da Giuseppe Milani (1716-1798).
Questo ciclo pittorico dedicato alla vita di Apollinare è l’unico, a Ravenna, ancora visibile in tutta la sua interezza. Alcune pitture incentrate sulla vita del Protovescovo s’intravvedono nella prima Cappella della navata sinistra della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, conosciuta come Cappella delle Reliquie perché un tempo questa era la sua funzione, immagini purtroppo molto rovinate e bisognose quanto mai di urgenti restauri. Scene della vita del Santo si ricordano, inoltre, nel mosaico medievale della Basilica Ursiana, un ciclo musivo perduto con il crollo dell’abside durante i lavori settecenteschi ad opera dell’architetto Buonamici. Dei quattro episodi dedicati ad Apollinare si conserva una piccola memoria nel volto di un discepolo del Protovescovo custodito all’interno delle Collezioni del Museo Arcivescovile.
Nel primo medaglione affrescato dal Milani è raffigurato uno tra i primi incontri del Santo nella città di Ravenna, quello tra Apollinare e il tribuno romano: “Entrato in casa del tribuno, fu accolto con massimo rispetto. Gli disse il tribuno: «Sei il benvenuto, medico, e che cosa c’è di più dolce dell’acqua fresca per chi è accaldato?». Gli rispose il beato Apollinare: «Riposi la pace del Signore e Dio nostro Gesù Cristo». Disse il tribuno: «Chi è colui del quale parli?». Il santo Apollinare rispose: «Il Figlio del Dio vivo che ha rinnovato il mondo perduto»”.
Il secondo riquadro presenta il Santo che distrugge, con la potenza della preghiera, il simulacro del dio Apollo: “Venuto al tempio e vista la statua di Apollo, il Santo Apollinare disse ai presenti: “E’ questa la divinità nella quale traete presagi?”. Risposero: “Si: è lui il primo tra gli dei e il custode della città”. Il santo Apollinare rispose: “Mai gli vada bene! Anzi, distrutto questo, sarà custode dei cristiani che vivono in questo luogo il nostro Signore Gesù Cristo che è veramente Dio”. E, mentre pronunciava una preghiera, il simulacro andò demolito e il tempio del diavolo fu distrutto”.
Il terzo riquadro mostra la guarigione della figlia del tribuno, episodio riscritto guardando alla risurrezione della figlia di Giairo (cf. Mt 9, 18-26): “In quel tempo aveva il comando di Ravenna il patrizio Ruffo, ex-console, la cui unica figlia era ammalata. Gli fu riferito il nome del sacerdote Apollinare, che egli ordinò subito di condurre a casa sua perché visitasse la figlia. Ma appena quello fu entrato in casa con i suoi chierici, immediatamente la ragazza morì. Il santo Apollinare sentì i lamenti e venne a sapere che era morta. Scendendo, il patrizio Ruffo lo rimproverava fra le lacrime dicendo: “Oh se tu non fossi entrato in casa mia! Infatti i grandi Dei si sono indignati e non hanno voluto salvare mia figlia. E tu in nome di chi potrai salvarla?”. E tutti i presenti piangevano con lui. Il beato Apollinare gli disse: “Abbi fiducia, patrizio, e giurami per la salute dell’imperatore che permetti alla fanciulla di seguire il suo salvatore, e tosto conoscerai la virtù del nostro Signore Gesù Cristo”. Il patrizio Ruffo rispose: “So che la bambina è morta e non vive: tuttavia se vedrò lei stare in piedi e parlare, loderò la virtù del tuo Dio e non impedirò alla fanciulla di seguire il suo salvatore”. Allora, mentre tutta la moltitudine piangeva, egli, avendo fiducia in Gesù, si avvicinò alla fanciulla e la toccò dicendo: “Signore Gesù Cristo, Dio mio, che al tuo apostolo Pietro, mio maestro, hai dato il modo di ottenere da Te quanto desidera, risuscita questa fanciulla perché è tua creatura e perché non esiste altro Dio oltre a Te”. E volgendo lo sguardo alla fanciulla disse: “Perché giaci? Alzati e confessa il Salvatore”. Ella subito si alzò e parlava e diceva: “Grande è il Dio che Apollinare, suo servo, proclama e non c’è alcun altro oltre a lui. E in quel momento si ebbe grande gioia tra i cristiani, perché fu magnificato il nome del Signore Gesù Cristo”.
Il quarto medaglione mostra Apollinare che battezza, scena questa molto frequente nel racconto della Passio. Anche la figlia di Ruffo riceve il battesimo insieme alla sua famiglia e alle numerose persone testimoni del miracolo operato dal Santo: “La ragazza fu battezzata con la madre e la famiglia e così pure 324 persone dei due sessi”.
Oltre la pala dell’Anziani, la narrazione prosegue con Apollinare incarcerato a seguito della sua professione di fede e lì confortato da un angelo. L’autorità pagana aveva ordinato “che il beato Apollinare fosse chiuso in un carcere pauroso con pesantissime catene, che gli fossero tenuti i piedi allargati con un legno e che nulla gli fosse dato in modo che morisse. Ma un angelo del Signore, venendo a lui di notte alla presenza dei guardiani, lo nutrì, lo confortò e si allontanò”.
A questa fa seguito la scena dove il Santo viene percosso, episodio accaduto durante la sua permanenza in Tracia: “Spogliandolo, lo percossero a lungo con colpi di bastone e lo fecero portare fino al mare”.
Nel settimo riquadro è raffigurato il momento in cui Apollinare libera una giovane indemoniata che stava nella casa di Bonifacio: “Quando arrivò alla sua casa, una ragazza della casa, che aveva addosso uno spirito immondo, si mise a gridare dicendo: “Vai via di qui, servo del Dio vivo, perché io ti farò trascinare fuori da questa città con i piedi legati”. Il santo Apollinare le disse: “Taci, diavolo, ed esci da lei e non parlare più in alcun altro”. E quello immediatamente uscì da quella”.
L’ultimo riquadro è dedicato al martirio per mano dei pagani. Apollinare “fu preso non lontano dalla porta e fu colpito finché fu lasciato creduto morto. Poi, prima che sorgesse il giorno, fu raccolto dai suoi discepoli e condotto nel quartiere dove stavano i lebbrosi. E li, giacendo fra i cristiani, sopravvisse sette giorni, esortando la sua chiesa e a non allontanarsi dalla fede in Cristo”.
Altre due pitture, poste nella copertura dell’abside, si aggiungono alla narrazione della Passio, una dedicata allo Spirito Santo rappresentato sotto forma di colomba, l’altra incentrata sulla gloria di Apollinare.
Le pitture dell’abside di Sant’Apollinare Nuovo presentano la Vita del santo ravennate secondo la tradizione agiografica tratta dalla Passio di Sant’Apollinare, testo che la critica data tra il VI e il VII secolo. Essa costituisce un documento importantissimo per il culto e l’iconografia del protovescovo. La Passio, suddivisa in trentacinque paragrafi, racconta di Apollinare, della sua missione evangelizzatrice che si estende oltre i confini di Ravenna, del martirio. Il testo inizia con il racconto di Apollinare, discepolo di San Pietro, legando così indissolubilmente la sua figura a quella del principe degli apostoli e unendo in un vincolo di fede e carità le chiese di Roma e di Ravenna. E’ principalmente a Ravenna che si spende nella carità pastorale, battezzando, predicando e operando prodigi; Apollinare ordina diaconi e presbiteri. La Passio, tuttavia, non manca di evidenziare anche la sua attività missionaria che lo vede impegnato ad annunciare il Vangelo di Cristo nell’Emilia, lungo le coste di Corinto, dove farà naufragio, lungo le rive del Danubio ed infine in Tracia. Il ritorno a Ravenna segna, nel racconto agiografico, l’ultima parte di vita del Santo dove sono narrati gli ultimi miracoli compiuti ed il suo costante annuncio della Parola del Signore prima di subire il martirio per mano dei pagani. La Passio termina con un’annotazione importante, quella del luogo della sepoltura del protovescovo.
Molti sono i miracoli per mano di Apollinare, alcuni dei quali sono rappresentati nelle pitture di questa Basilica. Apollinare guarisce i ciechi, gli infermi, i muti, sana i lebbrosi; scaccia i demoni, ridona la vita a una fanciulla morta, la figlia di Rufo, la sua parola distrugge le statue degli idoli. Questo genere di miracoli non è estraneo alle grandi narrazioni dei testi veterotestamentari che attribuiscono queste opere al Messia. Nel Nuovo Testamento è il Cristo che inaugura i tempi messianici con la sua parola e con i segni di salvezza, opere che dopo di lui saranno compiute, nel suo nome, dai suoi discepoli. La Passio, raccontandoci le grandi opere di Apollinare, mostra cioè come la sua vita sia conformata a quella di Cristo nell’obbedienza al Padre e nella fedeltà alla voce dello Spirito Santo.
C’è un dettaglio che vale la pena rilevare: il racconto agiografico inaugura l’opera taumaturgica di Apollinare descrivendoci la guarigione dalla cecità del figlio del soldato Ireneo e termina con il racconto della guarigione del figlio del giudice Tauro, cieco dalla nascita, come se tutta la missione e predicazione di Apollinare fosse posta nell’opposizione Luce/tenebre, riconoscimento del vero Dio/idolatria. Eloquenti sono le parole con le quali Apollinare si rivolge a Dio Padre per chiedere la guarigione del figlio del soldato Ireneo, parole che confermano come tutta la predicazione di Apollinare vada compresa all’interno del dono della vista, dove la cecità non è cosa fisica, bensì del cuore, come quella bradicardia dei discepoli di Emmaus precedente l’incontro con il Risorto (cf. Lc 24, 25), come quella durezza di cuore di chi non ha fatto esperienza della misericordia sorgiva di Dio: “Dio che non da qualche parte, ma dappertutto sei, introduci in questa città la conoscenza del Figlio tuo, il Signore nostro Gesù Cristo, non solo per illuminare questi occhi del corpo, ma anche per aprire gli occhi interiori del popolo che abita in questo luogo, in modo che, riconoscendo essi subito che tuo Figlio Gesù Cristo è il loro Dio, a me sia concesso un luogo per la predicazione con grande risultato”.
Giovanni Gardini
Consulente Diocesano per i Beni Culturali
giovannigardini.ravenna@gmail.com